martedì 8 dicembre 2020

A riveder le stelle (La Scala 2020)



In questo 2020 la stagione della Scala avrebbe dovuto aprirsi con una "Lucia di Lammermoor", ma il lockdown imposto dall'emergenza Covid ha costretto il teatro ad annullare l'evento. Al suo posto, come "prima" non tradizionale, abbiamo avuto un concerto/recital a porte chiuse, senza pubblico ma trasmesso comunque in diretta televisiva. Ed è stato uno spettacolo davvero di grande spessore, al tempo stesso colto e "pop" (il riscontro di audience è stato ottimo: oltre due milioni e mezzo di spettatori su Rai 1!), che ha coinvolto – oltre all'orchestra del Piermarini, diretta da Riccardo Chailly – decine dei migliori artisti contemporanei nel campo della lirica e del balletto. Il mix di canto, ballo e citazioni teatrali, poetiche e letterarie declamate dai palchi, anche se saltando un po' di palo in frasca (ma con alcuni temi a collegare il tutto: la morte, le donne, il desiderio di rivalsa e di libertà), è stato decisamente affascinante. E nonostante l'inevitabile presenza di brani fin troppo inflazionati ("Nessun dorma", "E lucevan le stelle", "Una furtiva lagrima", ecc.), non ho percepito quell'effetto di banalità e appiattimento che caratterizza talvolta i concerti di Natale. Con il contorno di ottime scenografie (e con la regia di Davide Livermore), abbiamo udito arie di Verdi (da "Rigoletto", "Don Carlo", "La forza del destino", "Un ballo in maschera" e "Otello"), Puccini ("Madama Butterfly", "Tosca" e "Turandot"), Donizetti ("Lucia di Lammermoor", "L'elisir d'amore"), Giordano ("Andrea Chénier"), ma anche di compositori non italiani come Bizet ("Carmen"), Wagner ("La Valchiria") e Massenet ("Werther"), prima di concludere con il grandioso finale del "Guglielmo Tell" di Rossini. Per il balletto, oltre a un classico frammento di Ciajkovskij (il Grand pas de deux dallo "Schiaccianoci"), Riccardo Bolle si è esibito in un pezzo moderno (su temi di Davide "Boosta" Dileo dei Subsonica ed Erik Satie). Fra i tanti artisti coinvolti, da ricordare attori come Massimo Popolizio e Caterina Murino e cantanti come Luca Salsi, Vittorio Grigolo, Ildar Abdrazakov, Ludovic Tézier, Elina Garanca, Lisette Oropesa, Kristine Opolais, Camilla Nylund, Andreas Schager, Rosa Feola, Juan Diego Flórez, Aleksandra Kurzak, Marianne Crebassa, Piotr Beczala, Eleonora Buratto, George Petean, Francesco Meli, Benjamin Bernheim, Carlos Álvarez, Plácido Domingo, Sonya Yoncheva, Roberto Alagna, Marina Rebeka e Mirco Palazzi.


mercoledì 30 settembre 2020

Adiós Quino!



Oggi è scomparso Joaquín Salvador Lavado Tejón, in arte Quino, il creatore di una delle strisce a fumetti più belle di tutti i tempi, l'argentina "Mafalda", ancora adesso attualissima e divertentissima come la prima volta. Grazie di tutto!

lunedì 10 agosto 2020

Non influenzate la vita dei pipistrelli!

Queste esilaranti istruzioni per l'utilizzo di "mini ventilatore" sono state tradotte evidentemente in maniera automatica da un'altra lingua (probabilmente l'inglese, ma passando a sua volta dal cinese).



Con qualche impegno è possibile comprendere l'origine di alcune delle frasi più buffe. "Non caricare per più di otto ore, in modo da non influenzare la vita dei pipistrelli" faceva sicuramente riferimento alla vita della batteria, che a causa di un'abbreviazione senza punto ("Bat life") ha creato questo bizzarro effetto sui chirotteri. Anche "addebitato" era probabilmente "charged" in originale. No comment sulle merci "pericolose e inspiegabili", e ci resterà per sempre il dubbio di cosa fa "la carta". Difficile infine determinare cosa significhi il magnifico "Quando sarai tu a capo del bagno", ma di certo il "battero" è sempre la batteria!

lunedì 6 luglio 2020

C'era una volta... Ennio



Oggi è morto Ennio Morricone, il mio compositore preferito della seconda metà del ventesimo secolo, quello che più di tutti ha saputo rappresentare e valorizzare la forma d'arte per eccellenza del Novecento, vale a dire il cinema. Lo ricordo con un mix di brani tratti da una delle sue colonne sonore più belle...


Ma merita anche questa splendida e commovente esecuzione per violino:

lunedì 22 giugno 2020

Il Signore degli Anelli con le spade laser

Una delle cose più belle del mondo!
(scusate, mi ritrovo in un periodo di revival tolkieniano).

venerdì 19 giugno 2020

LOTR Reunion

Nel giorno in cui diamo l'addio al grande Ian Holm, interprete di Bilbo Baggins, segnalo questa incredibile conversazione via Zoom, in tempi di quarantena, fra i protagonisti della trilogia cinematografica de "Il Signore degli Anelli".
Da guardare a tutto schermo, per ridere e commuoversi!



Il video fa parte di una serie di reunion che fanno incontrare dopo anni il cast di celebri film del passato, realizzate ai tempi del coronavirus. Ecco per esempio quelle dedicate a I Goonies, a Ritorno al futuro e a Ghostbusters.

giovedì 21 maggio 2020

I miei film western preferiti

Ecco la top ten dei miei western preferiti, un genere cinematografico che amo particolarmente. Ho cercato di inserire film di registi, periodi e filoni differenti, in modo da ampliare la varietà dei titoli rappresentati (l'unica eccezione è la presenza di due film di Sergio Leone, ma non potevo proprio fare altrimenti!).

1. C'era una volta il west (Sergio Leone, 1968)

Non è solo il mio western preferito, ma il mio film preferito in assoluto. Personaggi archetipici, scenari iconici, attori sublimi, tempi dilatati, una regia impeccabile e una colonna sonora da brividi. Cosa desiderare di più? Da vedere e rivedere.

2. Il mucchio selvaggio (Sam Peckinpah, 1969)

Il capolavoro del western crepuscolare, con una banda di "cattivi" che sacrificano ogni cosa in nome dell'amicizia. Caratterizzazioni sporche ma efficaci, una forte contestualizzazione storica e uno scontro finale cruento e indimenticabile.

3. Ombre rosse (John Ford, 1939)

Il film che ha reso grandi Ford e John Wayne, montaggio e inquadrature da manuale per un road movie che contrappone i pericoli esterni (gli indiani come forze della natura) a quelli interiori (le tensioni all'interno della diligenza).

4. Alba fatale (William A. Wellmann, 1943)

Un gioiello di denuncia sociale, cupo e non conciliante, basato su uno spunto semplice ma in grado di portare alla luce gli aspetti oscuri del west in un periodo in cui il filone doveva ancora affrancarsi dal suo lato eroico, ingenuo e ottimista.

5. Mezzogiorno di fuoco (Fred Zinnemann, 1952)

Il massimo esempio di come costruire attesa e suspense all'interno del genere, oltre a riflessioni e dilemmi sui temi della violenza e del pacifismo, la decostruzione di un personaggio e l'intepretazione più memorabile di Gary Cooper.

6. Il buono, il brutto, il cattivo (Sergio Leone, 1966)

L'epitome del western all'italiana, una pellicola epica e avventurosa, ambiziosa e divertente, ironica e spettacolare, che mette a confronto tre individualità mentre i grandi eventi storici fanno da sfondo alle loro traversie picaresche.

7. Gli spietati (Clint Eastwood, 1992)

I temi della giustizia e della vendetta, già visti più volte, riacquistano di colpo nuovo significato. Un filmone che, pur appoggiandosi sulle spalle dei giganti, ne è all'altezza: l'ultimo grande western che può fregiarsi del titolo di classico.

8. Un dollaro d'onore (Howard Hawks, 1959)

Nato come risposta a "Mezzogiorno di fuoco", ne è invece il degno complemento. La trama lineare, il setting circoscritto, le dinamiche fra i personaggi e i luoghi tipici del genere lo rendono forse uno dei western più universali di tutti i tempi.

9. Quel treno per Yuma (Delmer Daves, 1957)

Il ritratto dell'umanesimo, l'inedito rapporto fra il buono e il cattivo, la legge morale dentro di noi che ci spinge a compiere la scelta giusta anche di fronte alle avversità, un inno all'integrità che non ha mai perso il suo fascino.

10. Non sparare, baciami! (David Butler, 1953)

Titolo eccentrico in questa classifica, in rappresentanza di tutti quei western più "leggeri" e ingenui, popolati da cowboy canterini e pistoleri damerini, dove si amoreggia invece di spararsi addosso. La verve di Doris Day fa il resto.


La scelta non è stata facile, e molti sono i film meritevoli che sono rimasti fuori. Per non fare un torto a nessuno, ecco – in rigoroso ordine cronologico – una lista di altri 30 film di grande valore che non avrebbero certo sfigurato nella top ten.

La grande rapina al treno (Edwin S. Porter, 1903)
Il cavallo d'acciaio (John Ford, 1924)
Sfida infernale (John Ford, 1946)
Il massacro di Fort Apache (John Ford, 1948)
Il fiume rosso (Howard Hawks, 1948)
Sangue sulla Luna (Robert Wise, 1948)
Rancho Notorious (Fritz Lang, 1952)
Il cavaliere della valle solitaria (George Stevens, 1953)
Vera Cruz (Robert Aldrich, 1954)
Johnny Guitar (Nicholas Ray, 1954)
Wichita (Jacques Tourneur, 1955)
Sentieri selvaggi (John Ford, 1956)
Quaranta pistole (Sam Fuller, 1957)
I magnifici sette (John Sturges, 1960)
Sfida nell'Alta Sierra (Sam Peckinpah, 1962)
Per un pugno di dollari (Sergio Leone, 1964)
Faccia a faccia (Sergio Sollima, 1967)
Butch Cassidy (George Roy Hill, 1969)
La ballata di Cable Hogue (Sam Peckinpah, 1970)
Lo chiamavano Trinità (E.B. Clucher, 1970)
I compari (Robert Altman, 1971)
Corvo rosso non avrai il mio scalpo (Sidney Pollack, 1972)
L'ultimo buscadero (Sam Peckinpah, 1972)
Nessuna pietà per Ulzana (Robert Aldrich, 1972)
Lo straniero senza nome (Clint Eastwood, 1973)
Pat Garrett e Billy the Kid (Sam Peckinpah, 1973)
Il texano dagli occhi di ghiaccio (Clint Eastwood, 1976)
I cavalieri dalle lunghe ombre (Walter Hill, 1980)
I cancelli del cielo (Michael Cimino, 1980)
Balla coi lupi (Kevin Costner, 1990)

giovedì 30 aprile 2020

Ancora sulla nuova traduzione del Signore degli Anelli

Qualche mese fa avevo già detto la mia sulla nuova traduzione del "Signore degli Anelli", spiegando come la trovavo esteticamente brutta rispetto alla precedente, anche senza considerare l'effetto nostalgia o la coerenza con gli adattamenti cinematografici. Vorrei tornare sull'argomento, perché nel frattempo è accaduto qualcosa di nuovo: la casa editrice Bompiani ha ritirato dal commercio la vecchia traduzione, che non verrà più ristampata e sarà dunque completamente rimpiazzata dalla nuova (in un primo momento sembrava che le due versioni avrebbero potuto coesistere, lasciando al lettore libertà di scelta). Mi sembra un'operazione simile a quelle compiute dalle case cinematografiche che commissionano ridoppiaggi di vecchi film o li rieditano con alterazioni digitali (George Lucas, anyone?), togliendo al contempo le vecchie edizioni dal mercato in modo da renderle progressivamente irreperibili. E al netto dei vari retroscena e delle diatribe dietro le quinte, mi pare la conferma di ciò che pensavo da tempo: la scelta di commissionare una nuova traduzione del romanzo di Tolkien non era dovuta a motivi artistici, e men che meno al desiderio di correggere gli "errori" della vecchia versione, come vedremo, ma a ragioni puramente commerciali. Evidentemente la casa editrice non voleva più pagare i diritti della vecchia traduzione (ricordiamo che la Bompiani la "ereditò" dalla Rusconi), scaduti a fine 2018, e ha preferito commissionarne una nuova, che fosse di sua "proprietà".



Cito un aneddoto personale. Anni fa fui incaricato di tradurre in italiano un gioco di carte collezionabili ispirato a un celebre romanzo. Il committente mi chiese esplicitamente di rendere tutte le frasi di tale romanzo, citate nelle carte, in maniera diversa rispetto all'edizione già pubblicata in Italia, proprio perché i diritti del gioco non comprendevano anche quelli della traduzione italiana in commercio. Fui costretto così ad alterare "a forza" ogni frase, ogni passaggio, ogni nome rispetto alla traduzione già esistente, ricorrendo a volte anche a soluzioni infelici. In quest'ottica mi sembra che si possa spiegare perché il nuovo traduttore Ottavio Fatica si sia premurato di cambiare ogni cosa (dai nomi dei personaggi e dei luoghi alle poesie, dai registri linguistici fino ai titoli stessi dei capitoli: già il primo, per esempio, "Una festa a lungo attesa", diventa "Una festa attesa a lungo"): era la missione che gli era stata affidata per evitare contenziosi legali. Alla luce di questo, risulta ancora più pretestuosa l'arroganza con cui lo stesso Fatica ha bollato la vecchia traduzione di Vicky Alliata, accusandola in pubblico di contenere "cinquecento errori a pagina". Tacendo, invece, sui reali motivi!



Benché la traduzione classica non fosse certo perfetta e avesse i suoi bravi difetti (anche perché era il frutto, ricordiamolo, di rimaneggiamenti da parte di Quirino Principe: in gran parte migliorativi, è vero, ma che in alcuni punti portavano a una mancanza di coerenza interna, per esempio nei cognomi dei quattro hobbit protagonisti che non erano stati "tradotti" o italianizzati come invece quelli degli hobbit minori: Serracinta, Bolgeri, Tronfipiede, ecc.), quella nuova non solo non "suona" migliore, anzi è spesso sgradevole, ma a sua volta non è esente da un'assoluta mancanza di coerenza interna. Guardiamo per esempio proprio i nomi e i cognomi degli hobbit: in alcuni casi Fatica li "italianizza", come Samplicio e Brandaino al posto di Samwise e Brandybuck, mentre in altri li riporta alla grafia inglese, come Pippin e Took per Pipino e Tuc. Il motivo è chiaro: cambiare il più possibile, cambiare ogni cosa. In meglio o (spesso) in peggio, non importa. Che invece ci si volesse programmaticamente staccare dalla traduzione precedente per motivi "politici" o ideologici (vedi anche l'endorsement di Wu Ming 4) non vorrei nemmeno pensarlo, tanto mi sembrerebbe uno scenario al limite del ridicolo.



Tornando nel merito, ho trovato su un blog un'interessante serie di articoli (qui la prima parte, qui la seconda e qui la terza) che analizzano la nuova traduzione da un punto di vista puramente linguistico. Sono molto circostanziati e affrontano vari aspetti legati ai registri e alla terminologia (anche se ovviamente quanto ipotizzato sulle reali esigenze della nuova traduzione rende superflue molte considerazioni). Un'altra bella recensione è questa su Youtube. Concludo raccomandando a chi possiede le vecchie versioni di tenersele strette, e a coloro che malauguratamente non avessero ancora letto Tolkien, e volessero farlo, di recuperarle sul mercato dell'usato o in altri modi (in formato elettronico, per esempio).

domenica 12 aprile 2020

JoJo: distanziamento sociale

Anche Giorno e Trish lo hanno capito!
(da "Le bizzarre avventure di JoJo - Golden Wind", episodio 36)



venerdì 27 marzo 2020

Dylan Dog: restate a casa!

Anche Tiziano Sclavi, il (solitamente elusivo) creatore di Dylan Dog, ha voluto contribuire a incitare la gente a rimanere a casa in questi giorni difficili per non diffondere il contagio di coronavirus (Covid-19). Lo ha fatto tramite un video, che lo ritrae nel suo studio, e una tavola a fumetti con protagonista l'indagatore dell'incubo, disegnata dall'ottimo Sergio Gerasi.

giovedì 12 marzo 2020

L'omeopatia ai tempi del coronavirus



Una delle (poche) cose positive dell'attuale pandemia di coronavirus è che sta mettendo a tacere le voci dei vari antivaccinisti, omeopati e ciarlatani vari. Non so se abbiano cambiato idea, se hanno soltanto scelto di restare per un po' in silenzio o se, semplicemente, i media hanno smesso di far loro da cassa di risonanza. Ho letto oggi la notizia che la Boiron, il colosso mondiale dell'omeopatia, chiuderà 13 dei suoi 31 laboratori in Francia. Quello transalpino è ancora il principale mercato dell'azienda (con il 60% delle vendite!), ma da gennaio 2020 la quota di rimborso dei prodotti da parte delle assicurazioni sanitarie è scesa dal 30% al 15%, con l'intenzione del governo di portarla allo 0% dal 2021: la cosa ha scatenato l'ira della multinazionale, che ha giustificato la decisione di sopprimere 636 posti di lavoro con "gli attacchi virulenti, ingiustificati e reiterati contro l'omeopatia in Francia". C'è da aggiungere che nel 2019 il giro d'affari è sceso a 557 milioni di euro (–8,6%) e che le vendite sono calate in Francia (–12,6%) così come in tutto il mondo, "tranne che in Italia e in Russia" (purtroppo!). Speriamo che un'emergenza sanitaria come quella che stiamo vivendo inizi a insegnare anche a noi a distinguere fra la scienza reale e quella immaginaria.

giovedì 30 gennaio 2020

Gialli senza cinesi



No, l'attuale epidemia di virus dalla Cina non c'entra. Scrivo questo post perché mi è capitato sott'occhio per caso un "decalogo" per la scrittura di romanzi gialli deduttivi (i classici whodunit alla Agatha Christie, per intenderci), compilato nel 1929 da Ronald A. Knox. Questi era un teologo (!) inglese, amico di Gilbert Keith Chesterton (l'autore di "Padre Brown"), con cui condivideva la passione per i romanzi gialli, tanto che ne scrisse alcuni a sua volta. Il suo decalogo espone le regole da rispettare assolutamente quando si realizzano opere di questo tipo:

1) Il colpevole deve essere menzionato o comparire sin dalle prime pagine della storia, ma il lettore non deve avere accesso ai suoi pensieri.
2) Vanno esclusi tutti gli elementi o gli interventi soprannaturali.
3) Non è consentito più di un passaggio o di una stanza segreta.
4) Non deve essere impiegato un veleno sconosciuto, né qualsiasi apparato che richieda alla fine una lunga spiegazione scientifica.
5) Nella storia non deve esserci nessun personaggio cinese.
6) Nessun evento casuale deve aiutare l'investigatore, né questi può avere un'intuizione inspiegabile che però si dimostri corretta.
7) Il colpevole del crimine non può essere il detective stesso.
8) L'investigatore è obbligato ad esporre al lettore ogni indizio rinvenuto durante la storia.
9) La "spalla" del detective (il dottor Watson di turno) non deve nascondere al lettore nessun pensiero che gli passi per la mente: la sua intelligenza deve essere inferiore, anche se di poco, a quella del lettore medio.
10) Non possono apparire fratelli gemelli, o in generale sosia, a meno che non siano stati introdotti in anticipo.
Ora, la maggior parte di queste regole sembra chiara e ragionevole (anche se illustri scrittori, la stessa Agatha Christie in primis, hanno giocato a infrangerle consapevolmente, benché normalmente una sola alla volta, un po' come era permesso fare nel decalogo "Dogma 95" di Lars von Trier). Ma la quinta regola risulta alquanto bizzarra: perché non possono esserci personaggi cinesi?

Chi conosce la letteratura popolare e pulp di inizio ventesimo secolo può immaginare la risposta: all'epoca il cinese malvagio e intrigante era un vero e proprio cliché, pigro e ricolmo di stereotipi razziali, la personificazione del "pericolo giallo", e aveva dato origine a centinaia di personaggi della letteratura noir, d'avventura e d'evasione (uno dei più noti è probabilmente il Fu Manchu di Sax Rohmer). Knox scriveva: "Non vedo ragione perché un cinese debba rovinare un bel racconto giallo. Se, girando le pagine di un romanzo sconosciuto in una libreria, incappate nella descrizione degli occhi stretti e biechi di Chin Loo, evitate quella storia: non è buona".

Chiudo ricordando che anche il celebre giallista S.S. Van Dine, nel 1928, aveva pubblicato un articolo intitolato "Twenty Rules for Writing Detective Stories". Nel suo caso, le regole da seguire sono venti: molte sono simili a quelle di Knox (benché non si menzionino i cinesi), ma non mancano quelle curiose anche se in fondo comprensibili ("Non ci dev'essere una storia d'amore troppo interessante").

mercoledì 1 gennaio 2020

Il 2019 al cinema

Il 2019 è stata un'annata davvero soddisfacente per le mie visioni cinematografiche. Nel corso dell'anno solare ho visto in sala 57 film, molti dei quali di ottimo livello. Cosa mi è piaciuto di più e cosa meno? Fra i titoli migliori dell'anno indicherei senza dubbio "Parasite" del coreano Bong Joon-ho, "La favorita" di Yorgos Lanthimos, "La casa di Jack" di Lars von Trier e "Joker" di Todd Phillips: si tratta della mia personale quaterna dell'anno. Ottimi anche "I figli del fiume giallo" di Jia Zhang-ke, "Dolor y gloria" di Pedro Almodóvar, "I miserabili" di Ladj Ly, "Grazie a Dio" di François Ozon, "L'ufficiale e la spia" di Roman Polanski e il "Pinocchio" di Matteo Garrone. Fra le sorprese, cito "Los silencios" di Beatriz Seigner, "Atlantis" di Valentyn Vasyanovych, "Les enfants d'Isadora" di Damien Manivel e "All this victory" di Ahmad Gossein. A buon diritto nella lista dei bei film dell'anno, infine, finiscono anche "I fratelli Sisters" di Jacques Audiard, "Ema" di Pablo Larraín, "Bohemian Rhapsody" di Bryan Singer, "Ancora un giorno" di Raúl de la Fuente e Damian Nenow e "Avengers: Endgame" di Anthony e Joe Russo, nonché un recupero d'epoca, "Estasi" (1933) di Gustav Machatý.

Nella parte intermedia di questa classifica colloco diversi film comunque belli, intendiamoci, ma che per una ragione o per l'altra non mi hanno proprio convinto completamente o che comunque ritengo inferiori a quelli citati prima. A cominciare dal premio Oscar "Green book" di Peter Farrelly, seguito da "C'era una volta a... Hollywood" di Quentin Tarantino, "Ritratto della giovane in fiamme" di Céline Sciamma, "Il paradiso probabilmente" di Elia Suleiman, "Mademoiselle" di Park Chan-wook, "Yesterday" di Danny Boyle, "Le verità" di Hirokazu Koreeda, "Hotel by the river" di Hong Sang-soo, "Burning – L'amore brucia" di Lee Chang-dong e "La mia vita con John F. Donovan" di Xavier Dolan. Aggiungo a questi anche alcuni titoli visti ai festival, come "Adults in the room" di Costa-Gavras, "No. 7 Cherry Lane" di Yonfan, "The day I lost my shadow" di Soudade Kaadan, "Baby" di Liu Jie, "Youth" di Feng Xiaogang, "Nafi's father" di Mamadou Dia, "Babyteeth" di Shannon Murphy, "Gloria mundi" di Robert Guédiguian, nonché un'altra buona pellicola Marvel, "Spider-Man: Far from home" di Jon Watts.

Infine, le note dolenti. Mi hanno deluso, o comunque mi aspettavo di meglio, "Ad astra" di James Gray, "Il sindaco del rione sanità" di Mario Martone, "I morti non muoiono" di Jim Jarmusch, "Ralph spacca internet" di Phil Johnston e Rich Moore e il tanto atteso "Star Wars: L'ascesa di Skywalker" di J.J. Abrams. Lo stesso vale per film visti ai festival come "Il lago delle oche selvatiche" di Diao Yinan, "Love me tender" di Klaudia Reynicke, "Divine wind" di Merzak Allouache, "Bulbul can sing" di Rima Das, "Freedom fields" di Naziha Arebi, "Camille" di Boris Lojkine, "You will die at 20" di Amjad Abu Alala, "Dreamaway" di Marouan Omara e Johanna Domke, "A girl missing" di Koji Fukada e "Saturday fiction" di Ye Lou. Scendendo ancora nella classifica, pollice decisamente verso per "Fiore gemello" di Laura Luchetti e "X-Men: Dark Phoenix" di Simon Kinberg. E soprattutto per il sudafricano "Flatland" di Jenna Bass, il film peggiore dell'anno fra quelli visti al cinema. (Tutti i link portano alle corrispondenti recensioni sul mio blog cinematografico, "Tomobiki Märchenland".)