venerdì 23 dicembre 2011

Corto-circuiti cinemusicali 3

Per una volta facciamo a meno dei video, visto che la citazione è soltanto visiva.

Da Metropolis ai King Crimson
(passando per il parco di Bomarzo)


La bocca del Moloch che si vede nel film "Metropolis" di Fritz Lang (1927) è forse ispirata all'Orco del parco dei mostri di Bomarzo? Probabile. Così come è probabile che il parco stesso abbia ispirato la copertina del disco "In the Court of the Crimson King" (1969), l'album di debutto dei King Crimson.


Già che ci siamo, vi propongo anche una scena di un film addirittura precedente a quello di Lang, ovvero "Cabiria" (1914) di Giovanni Pastrone:


(La foto di Bomarzo è di Andrea Marutti)

giovedì 15 dicembre 2011

Cortocircuiti cine-musicali 2

Eccoci giunti al secondo appuntamento con questa rubrica che mette in luce strani collegamenti nel mondo della musica e del cinema.

Da Bach a Kelly Chen
(passando per Giorgio Moroder e The Toys)


Cominciamo con Johann Sebastian Bach.


Si tratta del celebre "Minuetto in Sol maggiore" (BWV Anh. 114) tratto dal "Quaderno di Anna Magdalena Bach" del 1725. Il compositore aveva regalato questo libretto, sul quale aveva scritto alcune sue composizioni, alla sua seconda moglie Anna. Nel 1984, Giorgio Moroder ne sfruttò il tema per un brano ("The duel") della colonna sonora del film "Electric Dreams" di Steve Barron, pellicola che raccontava la storia di un triangolo amoroso fra un ragazzo, una ragazza e... un computer (!). Ecco la scena in oggetto (l'attrice protagonista è Virginia Madsen):


A proposito, la melodia non vi ricorda qualcosa? Ma certo, la celebre canzone romantica "A Lover's Concerto" dei Toys! (da notare il busto di Bach che compare nel video che segue, un modo per riconoscere il debito verso il musicista tedesco da parte degli autori del brano, Sandy Linzer e Denny Randell).


Di "A Lover's Concerto" esistono numerosissime versioni: per esempio quelle delle Supremes, delle Blossoms, di Cilla Black. Ottima, in particolare, quella di Sarah Vaughan:


Una delle mie preferite è però quella cantata da Kelly Chen nel film hongkonghese "Anna Magdalena", diretto nel 1998 da Yee Chung-Man e interpretato dalla stessa Kelly al fianco di Takeshi Kaneshiro e Aaron Kwok. La trama della pellicola, il cui titolo è naturalmente il nome della moglie di Bach, è incentrata proprio sul celebre minuetto, chiudendo così il nostro cortocircuito.


Potremmo finirla qui, ma se vi interessa potete ascoltare altre versioni di "A Lover's Concerto" in varie lingue: in spagnolo (Karina), in tedesco (Alma Cogan), in italiano (Neil Sedaka) e in coreano (Park Hye Kyung).

La cosa più buffa, comunque, è che in realtà (colpo di scena!) il brano originale non è affatto di Bach!
Alla fine degli anni settanta, infatti, si scoprì che la grafia con cui era stato scritto nel quaderno di Anna Magdalena non è quella del compositore. Bach aveva riempito con i suoi brani solo le prime pagine del libretto, lasciando molte altre pagine bianche in modo che Anna e gli altri membri della famiglia potessero aggiungervi o copiarvi altri lavori che erano soliti suonare. Gli esperti attribuiscono ora il minuetto a Christian Petzold.

giovedì 8 dicembre 2011

Don Giovanni (La Scala 2011)

In attesa di andare a vederlo dal vivo a gennaio (ebbene sì, in qualche modo sono riuscito a trovare due biglietti!), spendo due parole sulla "prima" del Don Giovanni di ieri sera alla Scala, seguita attraverso la benemerita diretta di Rai 5 (se c'è una cosa buona del proliferare di canali televisivi dovuto all'avvento del digitale terrestre, è l'aver reso di nuovo possibile la trasmissione di programmi culturali che – in nome dei dati Auditel – non trovano più spazio sulle reti generaliste, anche quando si tratta di eventi importanti come questo).

Sulla musica di Mozart c'è poco da aggiungere a quanto già detto negli ultimi duecento anni (e poi, sull'argomento intendo scrivere prima o poi una serie di post sul mio blog Opera Omnia), e i cantanti complessivamente mi sono piaciuti (le maggiori ovazioni le ha ricevute l'ambigua Donna Anna interpretata da Anna Netrebko – nomen omen: sempre bella, ma l'ho trovata decisamente ingrassata – ma i migliori mi sono parsi l'indomita Donna Elvira di Barbara Frittoli e lo strafottente Don Giovanni di Peter Mattei, il quale oltre ad amare, a mangiare e a bere, in scena fuma anche). La direzione di Daniel Barenboim non è stata eccezionale, e a dire il vero non mi ha emozionato più di tanto. La grande novità era l'allestimento, visto che si trattava di una nuova produzione, con la regia di Robert Carsen che ha posto l'accento sulla "complicità" delle donne che vengono sedotte dal libertino (e se quella di Zerlina e di Donna Elvira era già suggerita dal libretto di Lorenzo Da Ponte, anche Donna Anna – nell'incipit – viene mostrata come assolutamente partecipe e niente affatto vittima di violenza da parte dell'ignoto corteggiatore: al punto che è evidente come menta quando, più tardi, racconta a Don Ottavio come si sono svolti i fatti). Ha fatto parlare parecchio anche la scelta, nel finale, di mostrare Don Giovanni – o meglio il suo mito, il suo archetipo – sopravvivere anche dopo la discesa all'inferno per farsi beffe del resto del mondo, dei "benpensanti" che gli hanno appena cantato la morale ("Questo è il fin di chi fa mal", il famoso finale eliminato da Mozart quando l'opera venne eseguita a Vienna), come se il "dissoluto punito" non fosse lui ma tutti noi.

Tornando alla regia, sono molte le trovate proposte: lo specchio sul palco che riflette l'intero teatro (Carsen ha dichiarato di aver voluto rendere "omaggio alla Scala": si spiegano così i colori delle scenografie, che richiamano quelli degli arredi della sala, e la presenza, in mano a Donna Anna nel secondo atto, del programma di scena); i personaggi che si muovono anche fuori dal palcoscenico, fra i corridoi, i palchi e i posti a sedere; la scelta di far cantare il Commendatore, cioè il "convitato di pietra" – nella scena del cimitero – direttamente dal palco reale, fra il Presidente Napolitano e il Premier Monti; i continui cambi di abiti dei personaggi davanti al pubblico – e se lo scambio di vestiti fra Don Giovanni e Leporello all'inizio del secondo atto è previsto dal libretto, più volte vediamo i personaggi spogliarsi e rivestirsi mentre cantano, con lo stesso Don Giovanni perennemente seguito da un attaccapanni su rotelle con tutto il suo guardaroba; la cameriera di Donna Elvira – personaggio che viene citato nel testo ma che di solito non appare in scena – a un certo punto rimane addirittura nuda (insomma: è evidente che a questo Don Giovanni i "piacevoli progressi" non "vanno mal tutti quanti"). I costumi erano moderni, a eccezione degli abiti di velluto rosso nella scena del ballo in maschera, e le scenografie asciutte ed essenziali. Nel complesso mi è piaciuto, anche se speravo in qualcosa di meglio soprattutto dal punto di vista musicale (su regia e allestimento sono piuttosto "neutro", visto che mi piacciono le contaminazioni e mi rendo conto che con opere come queste è impensabile rifare sempre le stesse cose): rimando il giudizio definitivo a quando lo vedrò in teatro.

sabato 3 dicembre 2011

Cortocircuiti cine-musicali 1

Inauguro una rubrica estemporanea che intende mettere in luce strani e assurdi collegamenti che uniscono – attraverso film e musiche – i personaggi più impensati e improbabili, o anche solo per segnalare bizzarre scelte musicali nelle colonne sonore dei film. Cominciamo con...

Da Al Bano a Kitano
(passando per Miyuki Nakajima)


Qualcuno – spero in pochi! – si ricorderà di questa canzone di Al Bano e Romina Power ("Abbandonati", dall'album "Che angelo sei" del 1982):


E si sarà forse stupito di ritrovarla, cantata in giapponese, in un film di Takeshi Kitano, "Boiling Point" del 1990:


Forse che Beat Takeshi è segretamente un fan di Al Bano e Romina? No, per fortuna la spiegazione è più semplice, e ci viene fornita dall'anello mancante. La canzone della coppia italo-americana è infatti una cover di un brano della cantante giapponese Miyuki Nakajima, "Akujo". Ed è proprio di questo brano che il personaggio del film di Kitano esegue una versione al karaoke:


E tanto per rincarare la dose, ecco pure una versione di "Abbandonati" in spagnolo:

martedì 1 novembre 2011

Le censure di Tintin

In occasione dell'uscita del bel film di Steven Spielberg, ripropongo qui un testo che avevo scritto anni fa per sottolineare le differenze – spesso molto interessanti e significative dal punto di vista culturale – che si possono osservare nelle varie edizioni degli albi de "Le avventure di Tintin" di Hergé, probabilmente il più celebre eroe del fumetto franco-belga. Tutte le prime storie del personaggio, infatti, per diversi motivi furono rimaneggiate, modificate o addirittura ridisegnate dall'autore nel corso degli anni, in occasione delle varie ristampe in diversi formati nel secondo dopoguerra.

Il personaggio nasce in Belgio nel 1929 su una rivista per ragazzi in bianco e nero, "Le Petit Vingtième" (supplemento del quotidiano cattolico "Le XXe Siècle"), che pubblicava le sue avventure come se si trattassero dei reportage di un inviato speciale della rivista in paesi stranieri ed esotici. Le prime storie erano un po' pedanti e piene della retorica di quel tempo. Per esempio, nell'avventura in Congo (allora colonia belga) Tintin insegnava ai bambini africani ad amare "la loro vera patria, il Belgio"!

Dopo la seconda guerra mondiale, quando le avventure di Tintin cominciarono a essere ristampate in volume e a colori (i classici cartonati alla francese), Hergé decise di ridisegnare quasi interamente le prime storie, vuoi perché il suo vecchio tratto era troppo datato, vuoi per eliminare alcune di quelle sequenze "scomode", vuoi perché il suo metodo di lavoro era cambiato (l'autore dedicava ora molto più tempo a documentarsi con cura prima di realizzare una storia). In alcuni casi si trattava anche di modifiche necessarie per esigenze narrative o per rientrare nel giusto numero di pagine (i volumi ne prevedono rigorosamente 62, mentre le prime storie pubblicate su rivista non avevano una lunghezza fissa). Da notare che la primissima storia, "Tintin nel paese dei Soviet" non fu mai riadattata e ristampata a colori: Hergé preferì abbandonarla del tutto, giudicandola un "peccato di gioventù", essendo troppo intrisa dei sentimenti anti-bolscevichi dell'epoca. Le edizioni attualmente in commercio contengono le versioni più recenti, ma nel corso degli anni sono apparsi alcuni volumi per collezionisti e appassionati che ripropongono le versioni originali in bianco e nero.

Ma scendiamo nei dettagli e vediamo quali sono esattamente le sequenze modificate nelle varie versioni.

-Tintin au pays des Soviets (Tintin nel paese dei Soviet, 1929)
Questo è l'unico albo che non è stato riproposto a colori dalle edizioni Casterman. Di questa avventura esiste pertanto soltanto la versione apparsa su rivista, ripubblicata in un volume in bianco e nero per gli appassionati nel 1981.

-Tintin au Congo (Tintin in Congo, 1930)
Nel 1946 Hergé ha completamente ridisegnato la storia, facendola passare dalle originali 110 tavole in bianco e nero alle 62 a colori degli albi standard. Fra le numerose modifiche, da segnalare l'eliminazione di molti dettagli a favore del colonialismo. La lezione che Tintin teneva in una scuola africana ("Miei cari amici, oggi vi parlerò della vostra patria: il Belgio...") diventa adesso una lezione di matematica ("Quanto fa due più due?"). Il disegno si fa più curato e i dialoghi più fluidi. In seguito la storia subì un'ulteriore modifica, con l'eliminazione di una tavola in cui Tintin, a caccia di rinoceronti, ne faceva esplodere uno con la dinamite!


-Tintin en Amérique (Tintin in America, 1931)
Anche questa storia è stata ridisegnata, rimontata e colorata nel 1945. Le modifiche, in questo caso, sono soprattutto "di mestiere", e confrontando le due versioni si può notare come in pochi anni la padronanza di Hergé del media fumetto fosse notevolmente aumentata.

-Les cigares du pharaon (I sigari del faraone, 1932)
Ridisegnata e colorata nel 1955. In particolare una lunga sequenza con Tintin alle prese con un sotterraneo pieno di serpenti (Indiana Jones ante litteram!) viene eliminata per esigenze di spazio. Inoltre c'è una curiosità: nella vignetta in cui Tintin incontra lo sceicco sotto la tenda, questi afferma di essere un ammiratore del reporter e gli mostra un albo con le sue avventure. Se nell'edizione del 1932 gli mostrava "Tintin in America", nel 1955 gli mostra "Tintin in Congo". Ma successivamente Hergé modifica ancora la vignetta e ora lo sceicco mostra a Tintin l'albo di "Obiettivo Luna", un'avventura che il ragazzo non solo non ha ancora vissuto, ma dove sono presenti personaggi come il capitano Haddock e il professor Girasole che non ha ancora conosciuto: un vero paradosso temporale!


-Le lotus bleu (Il drago blu, 1933)
Questo è l'albo dove ci sono maggiori differenze nel disegno fra le due versioni. Nell'edizione del 1946 Hergé rimedia alla carenza di documentazione che lo aveva portato a disegnare una Cina assai stereotipata, e fornisce una prova magistrale per quanto riguarda sfondi, palazzi, ideogrammi, ecc. Si può dire che è proprio dalla seconda versione di questo albo che le avventure di Tintin assumono quella ricchezza di dettagli che le caratterizzaranno in seguito.

-L'oreille cassée (L'orecchio spezzato, 1935)
Poco da dire su questa storia, ridisegnata senza grossi cambiamenti.

-L'île noire (L'isola nera, 1937)
Viene ristampata nel 1943 nel nuovo formato di 62 pagine a colori (contro le 128 in bianco e nero della prima versione) senza particolari modifiche se non il rimontaggio delle tavole. Ma poi, nel 1965, Hergé la ridisegna completamente per un'ulteriore nuova versione, a causa delle pressioni ricevute dall'editore inglese Methuen. La storia, che si svolge in Scozia, per i britannici presentava infatti troppe inesattezze. Così Hergé inviò in Gran Bretagna il suo collaboratore Bob De Moor, che visitò tutti i luoghi in cui si svolgeva l'avventura e fece schizzi, fotografie e appunti riguardanti l'aspetto delle scogliere sulla costa, le targhe delle automobili, i ponti ferroviari, le uniformi dei poliziotti, i carri dei pompieri, e così via. L'albo fu totalmente rivisto, con una cura senza precedenti per i dettagli.


-Le sceptre d'Ottokar (Lo scettro di Ottokar, 1938)
Quando l'albo venne ristampato a colori, Hergé ne approfittò per ridisegnare molte sequenze, migliorando gli sfondi e soprattutto "balcanizzando" uniformi e costumi della Syldavia.

-Le crabe aux pinces d'or (Il granchio d'oro, 1940)
Quest'albo è memorabile perché compare per la prima volta il capitano Haddock. Su richiesta degli editori americani, Hergé eliminò alcune sequenze in cui si vedeva il capitano che beve dalla bottiglia (la bevuta rimane, ma fuori campo!) e cambiò una vignetta in cui Allan lo faceva frustare da uno schiavo di colore, ora "trasformato" in un pirata dalla pelle bianca.


-L'etoile mystérieuse (La stella misteriosa, 1942)
Si tratta della prima avventura pubblicata in volume direttamente a colori e nel formato a 62 pagine. Visto il successo ottenuto, tutte le precedenti storie – come abbiamo visto – vennero rimontate e/o ridisegnate e colorate per adeguarle al nuovo formato. Hergé comunque non fu soddisfatto della colorazione e la fece rifare diversi anni più tardi. In quella occasione cambiò anche la bandiera della spedizione "rivale" di quella europea. Nel 1942, infatti, il Belgio era occupato dai nazisti e dunque Hergé aveva dovuto mettere gli americani nella parte dei cattivi. Nell'edizione successiva, al posto della bandiera americana compare quella dello stato immaginario di Sao Rico.

-Le secret de La Licorne (Il segreto del Liocorno, 1942)
-Le trésor de Rackham le Rouge (Il tesoro di Rakam il Rosso, 1943)
È l'avventura su cui si basa il film di Steven Spielberg. Hergé dichiarò in alcune occasioni che questo doppio episodio era il suo preferito. Lo testimonia il fatto che dalla pubblicazione su rivista a quella in volume non ha subito cambiamenti di rilievo (giusto la modifica dei dialoghi di "passaggio" fra la prima e la seconda parte, con Tintin che invita il lettore a procurarsi il volume successivo per sapere come si concluderà l'avventura, mentre nella versione originale annunciava una pausa di un mese e l'avvio di una nuova serie).


-Les sept boules de cristal (Le sette sfere di cristallo, 1943, terminato nel 1946)
La pubblicazione su rivista di questa storia venne interrotta nel 1944 a causa della guerra per essere poi ripresa e portata a termine nel 1946. Nell'edizione in volume viene eliminata una buffa sequenza in cui il capitano a Haddock a teatro rimane "vittima" di un indovino.

-Le temple du soleil (Il tempio del sole, 1946)
È il seguito della precedente. Anche in questo caso mancano dall'edizione finale alcune sequenze che mostrano i nostri eroi nella giungla (una in cui il capitano Haddock mastica foglie di coca e una in cui si riempie le tasche di pepite d'oro trovate nelle grotte del Tempio degli Incas).

-Tintin au pays de l'or noir (Tintin nel paese dell'oro nero, 1939, terminato nel 1948)
È probabilmente la storia di Tintin che ha passato più traversie editoriali. La prima edizione risale addirittura al 1939, ancora in bianco e nero, e doveva seguire "Lo scettro di Ottokar". La guerra fece però cessare le pubblicazioni della rivista sulla quale appariva a puntate, con la storia interrotta a metà. Nel 1948 Hergé decise di completarla e, già che c'era, di ridisegnare la parte già esistente. Ma nel frattempo molte cose nelle avventure di Tintin erano cambiate: adesso c'erano Haddock, Girasole, il castello di Moulinsart, tutti elementi che i lettori si sarebbero stupiti di non trovare nella storia. Così Hergé cercò in qualche modo di reinserirli o almeno di motivare la loro assenza nella prima parte dell'albo. Per esempio, all'inizio dell'avventura Haddock sparisce di colpo per ricomparire dopo una cinquantina di pagine: il buffo è che quando Tintin chiede al capitano dove è stato per tutto quel tempo, Haddock cerca di spiegarglielo ma non ci riesce, limitandosi a dire che "è semplice e complicato allo stesso tempo...". Ma nel 1969, ecco che la storia viene modificata di nuovo! Il solito editore inglese, Methuen, chiede ad Hergé di eliminare alcuni elementi che adesso suonano "scomodi", in particolare il fatto che ebrei e arabi combattano contro gli inglesi (o fra di loro) nella Palestina del 1940 che era sotto occupazione britannica, prima della creazione dello stato di Israele. E così il conflitto viene modificato e diventa quello fra due emiri rivali che lottano per diventare califfi. Già che c'era, Hergé ridisegna molti particolari, in particolare tutte le uniformi militari, le navi e altri dettagli.


-Objectif Lune (Obiettivo Luna, 1950)
-On a marché sur la Lune (Uomini sulla Luna, 1951)
In questa memorabile doppia storia, la censura intervenne soprattutto su un particolare: la lettera che l'ingegner Wolff lascia prima di abbandonare il razzo e di perdersi nello spazio. La frase "Forse per qualche miracolo riuscirò anche io a sopravvivere..." fu imposta a Hergé (come raccontò lui stesso in un'intervista) da "benpensanti che erano turbati dal fatto che stavo mostrando un suicidio. Ma niente affatto, era un sacrificio! Forse la chiesa rifiuta un posto in paradiso al soldato che si fa esplodere insieme al ponte? Ma per uscire da quell'impasse dovetti aggiungere quella stupida frase sul fatto che Wolff potesse scamparla per miracolo. Nessun miracolo era possibile: Wolff era condannato e lo sapeva meglio di chiunque altro".


-L'affaire Tournesol (L'affare Girasole, 1954)
Nessuna modifica sostanziale da segnalare per quest'albo.

-Coke en stock (Coke in stock, 1956)
Questa storia causò ad Hergé diversi problemi. Venne infatti accusato di razzismo perché nell'albo appaiono alcuni africani che parlano (al capitano Haddock) in modo piuttosto stereotipato. Per evitare controversie, Hergé modificò le frasi degli africani ma non quelle di Haddock che rispondeva loro usando lo stesso tipo di linguaggio.

-Tintin au Tibet (Tintin nel Tibet, 1958)
Da questo albo Hergé eliminò una lunga scena con Haddock alle prese con i fuochi d'artificio. Dovette inoltre modificare il logo sull'aereoplano precipitato: un rappresentante della compagnia Indian Airways si era lamentato per la pubblicità negativa ("È scandaloso, nessuno dei nostri aerei è mai precipitato!"). Hergé lo modificò in "Sari-Airways" ma disse che in India operavano così tante compagnie aeree che era possibile che anche questa esistesse davvero...

-Les bijoux de la Castafiore (I gioielli della Castafiore,1961)
-Vol 714 pour Sydney (Volo 714 destinazione Sydney, 1966)
-Tintin et les Picaros (Tintin e i Picaros, 1976)
Per questi ultimi volumi le modifiche sono avvenute solo in fase di lavorazione, e gli albi sono usciti con l'aspetto che hanno ancora oggi.

-Tintin et l'Alph-Art (iniziata nel 1978)
Hergé è morto nel 1983 lasciando incompleta quest'ultima storia, che però è stata pubblicata nella sua versione a matita e layout, con sceneggiatura a fianco.


Bibliografia:
Benoît Peeters, "Tintin et le monde d'Hergé", Casterman 1983.

giovedì 27 ottobre 2011

Misura per misura

Ieri ho assistito al Piccolo di Milano (ma la produzione era del Teatro Stabile di Genova) a una rappresentazione di "Misura per misura". Considerata, insieme con "Tutto e bene quel che finisce bene" e "Troilo e Cressida", una delle tre ‘opere problematiche’ (problem plays) di William Shakespeare per la difficoltà nel caratterizzarne il genere (presenta infatti personaggi ed elementi tipici della commedia, ma anche temi e situazioni ben più complessi e tragici, al punto che basta davvero poco – nelle scelte di regia, di recitazione o di allestimento – per spostare gli equilibri e darne una connotazione oscura o inquietante), racconta una vicenda che, come capita spesso con il Grande Bardo, risulta ancora di incredibile attualità (gli argomenti sono quelli dell’abuso di potere e del rispetto della legge). Ogni volta che mi avvicino a un’opera di Shakespeare, infatti, mi stupisco della sua modernità: non a caso i suoi lavori vengono rappresentati con tanta frequenza e si prestano quasi naturalmente a essere ambientati in ogni epoca o in ogni parte del mondo (come hanno dimostrato le numerose trasposizioni cinematografiche da parte di grandi registi come Kurosawa, Welles, Polanski, Branagh, per citarne solo qualcuno, che ne hanno talvolta spostato il setting senza mai danneggiare la potenza dei contenuti). Dello spettacolo che ho visto ieri (la regia era di Marco Sciaccaluga, le scene di Jean-Marc Stehlé e Catherine Rankl, gli interpreti principali Eros Pagni, Alice Arcuri e Roberto Alinghieri) mi sono piaciute molte cose: le scenografie, che come nella tradizione del Piccolo erano semplici e minimaliste ma di grande efficacia (una struttura lignea, con scale e piattaforme, divisa in moduli che ruotavano e si ricombinavano a seconda delle esigenze per dare vita di volta in volta a conventi, bordelli, prigioni o palazzi ducali); i leggeri tocchi di modernità (negli abiti, negli oggetti), abbastanza limitati da non dare fastidio ma sufficenti a sottolineare come la vicenda potrebbe anche svolgersi al giorno d’oggi; gli inserti musicali e le luci; le interpretazioni disinvolte e naturali (non pochi sono i personaggi di contorno comici e sgrammaticati, tipicamente shakesperiani); e naturalmente la dinamicissima vicenda congegnata dall’autore, che non risparmia attacchi – diretti o indiretti, sarcastici o affettuosi – a tutte le parti in gioco: che si tratti di personaggi severi o clementi, giusti o ipocriti, puri o licenziosi, sinceri o menzogneri.

martedì 11 ottobre 2011

Shanghai Devil 1

Fa una certa impressione leggere, a pochi giorni dalla sua scomparsa, un'introduzione scritta da Sergio Bonelli per il primo numero di una nuova collana. Quello che è forse stato il più grande editore italiano di fumetti di sempre è morto il 26 settembre, mentre questo albo introduttivo di "Shanghai Devil" è uscito nelle edicole l'8 ottobre: ci sarebbe stato tutto il tempo per sostituire le righe già stese dall'editore con un comunicato che ne annunciasse la scomparsa, identico a quelli che senza dubbio verranno ospitati nei prossimi giorni sulle seconde di copertina degli altri albi della casa editrice. Ma probabilmente è stato meglio così: gli omaggi funebri possono attendere, mentre sarebbe stato ingiusto privare questa nuova collana della consueta presentazione di un editore che, conoscendo la sua passione per l'avventura vecchio stile, ne avrà sicuramente caldeggiato la nascita con particolare favore. Si tratta di una miniserie in diciotto capitoli, con la quale lo sceneggiatore Gianfranco Manfredi torna a collocare una vicenda in un setting storico, offrendo ai lettori un seguito della precedente "Volto Nascosto". Se quella serie si svolgeva in Etiopia e a Roma ai tempi della prima guerra coloniale italiana (ovvero alla fine dell'ottocento), questa invece si colloca in Cina durante la cosiddetta rivolta dei boxer. Il protagonista è lo stesso, il giovane Ugo Pastore, che dopo le esperienze precedenti ha deciso di seguire il consiglio del padre, agente di una compagnia commerciale, e di trasferirsi con lui in estremo oriente per aiutarlo a curare i suoi interessi. Come nella precedente serie, lo scenario storico-politico fa da sfondo a una vicenda piena di intrighi e di misteri che coinvolgono personaggi dall'identità celata: al posto di Volto Nascosto (la cui maschera è ora indossata da Ugo) c'è Tai Mien, misterioso guerriero che si batte contro l'occupazione straniera della Cina. È presto per dire se la vicenda, che nel primo albo sembra presentare un po' troppi punti in comune con la miniserie precedente (in sostanza cambia solo l'ambientazione), si dipanerà in modo differente. Resta il fatto che, almeno dal punto di vista dei testi, gli albi scritti da Manfredi continuano a essere fra quelli più documentati e curati nell'attuale produzione Bonelli.

sabato 24 settembre 2011

Usciamo dal tunnel


L'annuncio, da parte dei ricercatori del CERN (l'organizzazione europea per la ricerca nucleare), che alcuni neutrini "sparati" dal Super Proton Synchtroton svizzero verso il laboratorio del Gran Sasso nell'ambito dell'esperimento OPERA avrebbero coperto la distanza di 730 chilometri viaggiando a una velocità superiore a quella della luce (per la precisione con un anticipo di 60 nanosecondi – cioè miliardesimi di secondo – rispetto ai 2,4 millisecondi previsti, ovvero con una velocità superiore dello 0,002% a quella della luce; l'incertezza sulla misura sarebbe invece intorno ai 15 nanosecondi) ha scatenato da un lato l'entusiasmo dei titolisti dei quotidiani (che si sono accaniti in particolare sul povero Einstein) e dall'altro la cautela degli stessi scienziati, che dopo aver verificato più volte i risultati e apparentemente escluso errori di misura, hanno invitato i colleghi di tutto il mondo a ripetere l'esperimento per confermare la stupefacente scoperta, che in effetti – se fosse vera – è destinata a rivoluzionare gran parte della fisica moderna. Personalmente, come gli scienziati (alcuni dei ricercatori del CERN hanno addirittura rifiutato di firmare l'annuncio dei risultati perché li ritengono ancora preliminari) e a differenza dei giornalisti, sono un po' scettico e aspetterei conferme indipendenti prima di buttare a mare la teoria della relatività, ma il bello della scienza è che è sempre in grado di migliorarsi e di smentire sé stessa, cosa che non sembrano capaci di fare né il giornalismo né soprattutto la politica.

Il ministro italiano dell'istruzione e della ricerca, Mariastella Gelmini, si è infatti affrettata a diramare un comunicato nel quale, oltre naturalmente a non mancare di prendersi parte del merito della scoperta e a metterla subito sul piano economico, dimostra di non aver capito bene di cosa si sta parlando, visto che contiene una perla destinata a rimanere negli annali della comunicazione scientifica:

Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca
Ufficio Stampa

Roma, 23 settembre 2011

Dichiarazione del ministro Mariastella Gelmini
"La scoperta del Cern di Ginevra e dell'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare è un avvenimento scientifico di fondamentale importanza."

Rivolgo il mio plauso e le mie più sentite congratulazioni agli autori di un esperimento storico. Sono profondamente grata a tutti i ricercatori italiani che hanno contribuito a questo evento che cambierà il volto della fisica moderna.
Il superamento della velocità della luce è una vittoria epocale per la ricerca scientifica di tutto il mondo.

Alla costruzione del tunnel tra il Cern ed i laboratori del Gran Sasso, attraverso il quale si è svolto l'esperimento, l'Italia ha contribuito con uno stanziamento oggi stimabile intorno ai 45 milioni di euro.

Inoltre, oggi l'Italia sostiene il Cern con assoluta convinzione, con un contributo di oltre 80 milioni di euro l'anno e gli eventi che stiamo vivendo ci confermano che si tratta di una scelta giusta e lungimirante.


Il celebre tunnel fra il CERN e il Gran Sasso.

martedì 13 settembre 2011

Kafka sulla spiaggia

Di Haruki Murakami (uno dei favoriti, almeno secondo le agenzie che accettano scommesse, per la vittoria del premio Nobel per la letteratura di quest'anno) avevo finora letto con piacere il romantico "Tokyo Blues" (noto anche con il titolo originale, "Norwegian Wood") e il surreale "Dance dance dance". Questo "Kafka sulla spiaggia", romanzo che – fra le altre cose – ha vinto nel 2006 il prestigioso World Fantasy Award, mi è forse piaciuto anche più dei precedenti. C'è chi lo ha definito un thriller metafisico e postmoderno, nel filone del "realismo magico": un affascinante doppio racconto di esplorazione, crescita e conoscenza di sé stessi, sospeso fra sogno e realtà, nel quale il lettore è condotto attraverso due diverse storie (una si dipana nei capitoli pari, l'altra nei capitoli dispari) che scorrono parallele per lungo tempo prima di incontrarsi, o meglio sovrapporsi, a modo loro. Nella prima seguiamo "Kafka" Tamura, quindicenne scappato di casa per sfuggire a una terribile profezia che rievoca quella di Edipo; nella seconda i riflettori sono puntati su Nakata, un bizzarro vecchietto che ha perso gran parte delle proprie facoltà mentali dopo essere rimasto vittima di uno strano incidente quando era bambino, durante la seconda guerra mondiale, acquisendo in cambio la capacità di parlare con i gatti. Entrambi i personaggi raggiungeranno da Tokyo la città di Takamatsu (nello Shikoku, la più piccola delle quattro isole maggiori dell'arcipelago nipponico), dove si trova una piccola biblioteca privata gestita dalla sfuggente signora Saeki. Qui si svolgerà lo scontro finale con forze misteriose "al di là del bene e del male". L'eccezionale stile narrativo di Murakami evoca atmosfere al tempo stesso reali e oniriche, e crea un mondo dove le risposte hanno forse meno importanza delle domande. Ma lo sforzo del lettore nel comprendere e interpretare le vicende che vengono narrate non è mai frustrato, semmai stimolato dall'accumulo di simboli, presagi e sogni che si fondono in maniera originale e convincente con la realtà concreta e palpabile. Grandiosi anche i personaggi di contorno, ottimamente caratterizzati, fra i quali spiccano l'ambiguo bibliotecario Oshima e il simpaticissimo camionista Hoshino. Come al solito con i lavori di Murakami, il romanzo è ricco di riferimenti letterari (a partire dal titolo!), musicali, cinematografici, o semplicemente culturali (basti pensare all'aspetto e al nome – Johnnie Walker, colonnello Sanders – che assumono i "concetti" psichici, buoni e cattivi, con cui i personaggi hanno a che fare).

venerdì 9 settembre 2011

La voce del padrone

Scritto da Stanislaw Lem (l'autore di "Solaris") nel 1968, e dunque in piena Guerra Fredda, questo atipico romanzo di fantascienza risulta ancora estremamente attuale, visto che temi quali le ingerenze dello stato e della politica nella scienza e nella ricerca (con la pretesa di ottenere sempre e comunque risultati e applicazioni da sfruttare a fini bellici o economici) sono oggi più forti che mai. Lo spunto di partenza sembra anticipare quello di un film che uscirà trent'anni dopo, "Contact" di Robert Zemeckis: alcuni astrofisici americani captano un misterioso segnale (neutrinico!) proveniente dallo spazio profondo, la cui struttura a ripetizione lascia intendere che possa essere stato inviato da una civiltà aliena. Radunati dal governo degli Stati Uniti e rinchiusi in una gigantesca base militare top secret, nel bel mezzo del deserto del Nevada, scienziati di ogni branca e di ogni disciplina si arrovellano nel tentativo di decifrare il "messaggio proveniente dalle stelle", di cui si ignora scopo e contenuto. Fra mille speculazioni, false piste, risultati parziali ed effimeri successi, ben presto sorgono innumerevoli questioni scientifiche, filosofiche, morali e intellettuali, il tutto mentre i ricercatori devono fronteggiare le sempre più forti pressioni politiche e militari che provengono dal mondo esterno, ma anche la propria hubris, le rivalità personali e interdisciplinari, la comprensione delle radici stesse della nostra civiltà. Nonostante la tanta carne al fuoco, la lettura scorre agile e veloce. La vicenda è raccontata in prima persona da uno degli scienziati protagonisti. Come capita spesso con i lavori di Lem, l'azione è più "mentale" che fisica, e i complessi ragionamenti e le vertiginose discussioni filosofiche o scientifiche tengono desta l'attenzione del lettore dall'inizio alla fine.

domenica 26 giugno 2011

Cannes Lions 2011

Sono stato per una settimana ai Cannes Lions, ovvero a quello che fino all'anno scorso era il Festival dell'Advertising e della Comunicazione, e che da quest'anno è stato ribattezzato Festival Internazionale della Creatività. Si tiene tradizionalmente qualche settimana dopo il Festival del Cinema ed è l'evento più importante per chi lavora nel campo pubblicitario: attira persone da tutto il mondo, che rendono ancora più internazionale l'atmosfera di una città già di per sé ricca e cosmopolita. Non ci ero mai stato, e ora ho avuto il piacere di alloggiare in un appartamento di tre stanze quasi sulla Croisette. Sono stati sette giorni (spesati e retribuiti) passati a seguire incontri e seminari organizzati dalle principali agenzie di pubblicità del mondo, con ospiti di prestigio e aggiornamenti sulle più recenti tendenze nel campo della tecnologia e della comunicazione, senza dimenticare il concorso per i migliori spot, annunci e campagne pubblicitarie, dove ho potuto toccare con mano quanto sia scarsa la produzione italiana (per originalità, coraggio, ironia e inventiva) rispetto a quella delle altre nazioni, soprattutto dei paesi in via di sviluppo.


Ed eccomi nella sala stampa.
Fra i seminari spiccavano quelli che ospitavano personaggi del calibro di Robert Redford e Patti Smith. C'è stata anche la proiezione di un film di Park Chan-wook ("Night fishing") girato interamente con l'Apple iPhone 4.

Ho mangiato pesce e crêpes... E non potevano mancare le ostriche!

Gran finale con il galà di chiusura sulla spiaggia del Carlton Hotel, con tanto di fuochi artificiali!