giovedì 30 gennaio 2020

Gialli senza cinesi



No, l'attuale epidemia di virus dalla Cina non c'entra. Scrivo questo post perché mi è capitato sott'occhio per caso un "decalogo" per la scrittura di romanzi gialli deduttivi (i classici whodunit alla Agatha Christie, per intenderci), compilato nel 1929 da Ronald A. Knox. Questi era un teologo (!) inglese, amico di Gilbert Keith Chesterton (l'autore di "Padre Brown"), con cui condivideva la passione per i romanzi gialli, tanto che ne scrisse alcuni a sua volta. Il suo decalogo espone le regole da rispettare assolutamente quando si realizzano opere di questo tipo:

1) Il colpevole deve essere menzionato o comparire sin dalle prime pagine della storia, ma il lettore non deve avere accesso ai suoi pensieri.
2) Vanno esclusi tutti gli elementi o gli interventi soprannaturali.
3) Non è consentito più di un passaggio o di una stanza segreta.
4) Non deve essere impiegato un veleno sconosciuto, né qualsiasi apparato che richieda alla fine una lunga spiegazione scientifica.
5) Nella storia non deve esserci nessun personaggio cinese.
6) Nessun evento casuale deve aiutare l'investigatore, né questi può avere un'intuizione inspiegabile che però si dimostri corretta.
7) Il colpevole del crimine non può essere il detective stesso.
8) L'investigatore è obbligato ad esporre al lettore ogni indizio rinvenuto durante la storia.
9) La "spalla" del detective (il dottor Watson di turno) non deve nascondere al lettore nessun pensiero che gli passi per la mente: la sua intelligenza deve essere inferiore, anche se di poco, a quella del lettore medio.
10) Non possono apparire fratelli gemelli, o in generale sosia, a meno che non siano stati introdotti in anticipo.
Ora, la maggior parte di queste regole sembra chiara e ragionevole (anche se illustri scrittori, la stessa Agatha Christie in primis, hanno giocato a infrangerle consapevolmente, benché normalmente una sola alla volta, un po' come era permesso fare nel decalogo "Dogma 95" di Lars von Trier). Ma la quinta regola risulta alquanto bizzarra: perché non possono esserci personaggi cinesi?

Chi conosce la letteratura popolare e pulp di inizio ventesimo secolo può immaginare la risposta: all'epoca il cinese malvagio e intrigante era un vero e proprio cliché, pigro e ricolmo di stereotipi razziali, la personificazione del "pericolo giallo", e aveva dato origine a centinaia di personaggi della letteratura noir, d'avventura e d'evasione (uno dei più noti è probabilmente il Fu Manchu di Sax Rohmer). Knox scriveva: "Non vedo ragione perché un cinese debba rovinare un bel racconto giallo. Se, girando le pagine di un romanzo sconosciuto in una libreria, incappate nella descrizione degli occhi stretti e biechi di Chin Loo, evitate quella storia: non è buona".

Chiudo ricordando che anche il celebre giallista S.S. Van Dine, nel 1928, aveva pubblicato un articolo intitolato "Twenty Rules for Writing Detective Stories". Nel suo caso, le regole da seguire sono venti: molte sono simili a quelle di Knox (benché non si menzionino i cinesi), ma non mancano quelle curiose anche se in fondo comprensibili ("Non ci dev'essere una storia d'amore troppo interessante").

mercoledì 1 gennaio 2020

Il 2019 al cinema

Il 2019 è stata un'annata davvero soddisfacente per le mie visioni cinematografiche. Nel corso dell'anno solare ho visto in sala 57 film, molti dei quali di ottimo livello. Cosa mi è piaciuto di più e cosa meno? Fra i titoli migliori dell'anno indicherei senza dubbio "Parasite" del coreano Bong Joon-ho, "La favorita" di Yorgos Lanthimos, "La casa di Jack" di Lars von Trier e "Joker" di Todd Phillips: si tratta della mia personale quaterna dell'anno. Ottimi anche "I figli del fiume giallo" di Jia Zhang-ke, "Dolor y gloria" di Pedro Almodóvar, "I miserabili" di Ladj Ly, "Grazie a Dio" di François Ozon, "L'ufficiale e la spia" di Roman Polanski e il "Pinocchio" di Matteo Garrone. Fra le sorprese, cito "Los silencios" di Beatriz Seigner, "Atlantis" di Valentyn Vasyanovych, "Les enfants d'Isadora" di Damien Manivel e "All this victory" di Ahmad Gossein. A buon diritto nella lista dei bei film dell'anno, infine, finiscono anche "I fratelli Sisters" di Jacques Audiard, "Ema" di Pablo Larraín, "Bohemian Rhapsody" di Bryan Singer, "Ancora un giorno" di Raúl de la Fuente e Damian Nenow e "Avengers: Endgame" di Anthony e Joe Russo, nonché un recupero d'epoca, "Estasi" (1933) di Gustav Machatý.

Nella parte intermedia di questa classifica colloco diversi film comunque belli, intendiamoci, ma che per una ragione o per l'altra non mi hanno proprio convinto completamente o che comunque ritengo inferiori a quelli citati prima. A cominciare dal premio Oscar "Green book" di Peter Farrelly, seguito da "C'era una volta a... Hollywood" di Quentin Tarantino, "Ritratto della giovane in fiamme" di Céline Sciamma, "Il paradiso probabilmente" di Elia Suleiman, "Mademoiselle" di Park Chan-wook, "Yesterday" di Danny Boyle, "Le verità" di Hirokazu Koreeda, "Hotel by the river" di Hong Sang-soo, "Burning – L'amore brucia" di Lee Chang-dong e "La mia vita con John F. Donovan" di Xavier Dolan. Aggiungo a questi anche alcuni titoli visti ai festival, come "Adults in the room" di Costa-Gavras, "No. 7 Cherry Lane" di Yonfan, "The day I lost my shadow" di Soudade Kaadan, "Baby" di Liu Jie, "Youth" di Feng Xiaogang, "Nafi's father" di Mamadou Dia, "Babyteeth" di Shannon Murphy, "Gloria mundi" di Robert Guédiguian, nonché un'altra buona pellicola Marvel, "Spider-Man: Far from home" di Jon Watts.

Infine, le note dolenti. Mi hanno deluso, o comunque mi aspettavo di meglio, "Ad astra" di James Gray, "Il sindaco del rione sanità" di Mario Martone, "I morti non muoiono" di Jim Jarmusch, "Ralph spacca internet" di Phil Johnston e Rich Moore e il tanto atteso "Star Wars: L'ascesa di Skywalker" di J.J. Abrams. Lo stesso vale per film visti ai festival come "Il lago delle oche selvatiche" di Diao Yinan, "Love me tender" di Klaudia Reynicke, "Divine wind" di Merzak Allouache, "Bulbul can sing" di Rima Das, "Freedom fields" di Naziha Arebi, "Camille" di Boris Lojkine, "You will die at 20" di Amjad Abu Alala, "Dreamaway" di Marouan Omara e Johanna Domke, "A girl missing" di Koji Fukada e "Saturday fiction" di Ye Lou. Scendendo ancora nella classifica, pollice decisamente verso per "Fiore gemello" di Laura Luchetti e "X-Men: Dark Phoenix" di Simon Kinberg. E soprattutto per il sudafricano "Flatland" di Jenna Bass, il film peggiore dell'anno fra quelli visti al cinema. (Tutti i link portano alle corrispondenti recensioni sul mio blog cinematografico, "Tomobiki Märchenland".)