mercoledì 29 dicembre 2010

Destino

Uno dei "pezzi forti" della recente mostra su Salvador Dalì tenutasi a Palazzo Reale a Milano consisteva nella proiezione di un cortometraggio animato di cui pochi conoscevano l'esistenza: è il frutto della collaborazione fra Dalì e Walt Disney, iniziata nel 1946 e poi interrotta per problemi economici prima che il progetto venisse portato a conclusione. Dalì disegnò centinaia di bozzetti per il cortometraggio che, in seguito, è stato portato a termine dagli animatori disneyani soltanto dopo il 1999 (sfruttando anche la computer grafica, non certo disponibile negli anni quaranta, per rendere "tangibili" le visioni paranoico-creative dell'artista spagnolo).

Che due "sognatori" come Dalì e Disney, per quanto attivi in campi così apparentemente diversi (l'arte "colta" il primo, quella "di massa" il secondo), si siano incontrati e abbiano deciso di collaborare, non deve in realtà essere fonte di stupore. La grandezza di entrambi consentiva facilmente loro di superare le barriere che dividevano i rispettivi settori d'appartenenza: Dalì aveva già frequentato il mondo del cinema (aveva lavorato con Luis Buñuel ne "Un chien andalou" e "L'âge d'or", ma anche con Alfred Hitchcock in "Io ti salverò"), mentre Disney amava coinvolgere artisti contemporanei nelle proprie opere (si pensi a "Fantasia", ma anche a numerose "Silly Symphonies").

Il cortometraggio, sulle note della ballata messicana "Destino" di Antonio Dominguez (interpretata dalla cantante Dora Luz), racconta quella che potrebbe essere la storia di un'altra delle tante "principesse" disneyane, almeno dal punto di vista iconografico. Ma il paesaggio in cui la ragazza si muove è quello della piana di Ampurdán, nella cittadina di Figueres, lo stesso che fa da sfondo a tante opere di Dalì, di cui ripropone simboli, immagini e ossessione: la torre di Babele, il campanile, gli obelischi, le forme cangianti. È incredibile come il breve filmato renda giustizia in maniera così evidente a entrambi i suoi ideatori, senza snaturare la visione artistica né dell'uno né dell'altro. Vi si può riconoscere sia il surrealismo daliniano che quello disneyano.

Un libro di Francesca Adamo e Caterina Pennestrì, "Il destino di un incontro" (ed. Mimesis), ripercorre la storia di questo incredibile progetto, il cui risultato è stato presentato in anteprima al Festival dell'Animazione di Annecy nel 2003 ma non è mai (a quanto mi risulta) stato messo in commercio. Per fortuna è possibile guardarlo su YouTube.


giovedì 23 dicembre 2010

Cerebus: Alta società

Con la pubblicazione in italiano del volume "Alta società", che segue di pochi mesi le edizioni in francese e in spagnolo (dopo che per anni l'autore aveva sempre rifiutato di far tradurre il suo lavoro in altre lingue), arriva finalmente nel nostro paese uno dei fumetti più importanti e controversi del panorama indipendente americano del secolo scorso. "Cerebus" – tanto il personaggio quanto la sua storia editoriale – merita infatti un posto di rilievo in una biblioteca ideale della nona arte per le sue caratteristiche uniche e (in tutti i sensi) eccezionali.

Nato nel 1977 come semplice parodia delle storie fantasy di Conan il Barbaro (e in particolare di quelle disegnate da Barry Windsor-Smith, che allora andavano per la maggiore), ma trasformatosi nel giro di pochi mesi in qualcosa di ben più complesso e profondo, il personaggio creato dal canadese Dave Sim è un buffo animale antropomorfo – per la precisione un oritteropo (aardwark) – che vive le sue avventure in un mondo fantasy/medievale diviso fra città-stato e dittature religiose. Dopo un paio d'anni di pubblicazione, mentre era ricoverato in ospedale per un'intossicazione da LSD, Sim decise che avrebbe continuato a realizzare il suo fumetto per trecento albi consecutivi, raccontando tutta la vita del personaggio fino alla sua morte, una cosa che nessuno aveva mai tentato prima. A differenza che in Giappone o in altri paesi, infatti, in America è raro che un singolo autore rimanga alle redini di una collana per lungo tempo, anche se autoprodotta. In più, si pensi che "Cerebus" era un fumetto indipendente, la cui sopravvivenza era difficile in un mercato, quello dei comic book statunitensi, dominato dalle testate supereroistiche delle due grandi major (la Marvel e la DC Comics), che potevano contare su risorse economiche, distributive e pubblicitarie ben superiori. Con ostinazione e tenacia, Sim ha continuato a scrivere e a disegnare l'albo fra alti e bassi per venticinque anni, diventando nel contempo un paladino dell'autopubblicazione e conquistandosi una popolarità sempre maggiore fra gli addetti ai lavori (lo dimostra per esempio il fatto che nel 1993 fu uno dei quattro autori scelti da Todd McFarlane per scrivere i testi di un episodio del suo popolarissimo "Spawn": gli altri tre erano Frank Miller, Alan Moore e Neil Gaiman, e questo la dice lunga sulla considerazione di cui Sim godeva all'epoca!).

Inizialmente dominate dall'umorismo e da frequenti parodie a tutto campo, le vicende di Cerebus si fanno via via più serie, complesse e adulte. I temi trattati arrivano a comprendere l'economia, la politica, la cultura, la religione e il rapporto fra i sessi, al cui riguardo l'autore non esita a esprimere idee radicali e spesso controverse (perlopiù in chiave antifemminista). Rimangono invece costanti i continui riferimenti cinematografici e letterari (dai fratelli Marx a Oscar Wilde, da Woody Allen a Ernest Hemingway), così come – di pari passo con la sofisticazione del linguaggio, che fa ricorso a slang e dialetti di ogni tipo – cresce ininterrottamente la qualità artistica delle tavole (Sim è uno dei primi disegnatori a giocare con il layout delle pagine, capovolgendo o inclinando le vignette, o sfruttando i balloon e persino il lettering per far progredire la narrazione; da un certo punto in poi viene coadiuvato da un assistente, Gerhard, che realizza gli sfondi con un meraviglioso tratteggio). Nella parte finale della serie, dopo essere passato attraverso una personale conversione religiosa (in precedenza era ateo), Sim si lancia in lunghe e contorte dissertazioni teologiche e filosofiche, spesso sacrificando i disegni in favore di pagine e pagine di solo testo, alienandosi gran parte della simpatia di un pubblico che non sembra più disposto a seguirlo. Ma in un modo o nell'altro, riesce ad arrivare al traguardo che si era prefissato: nel 2004 viene pubblicato il numero 300 di "Cerebus", quello in cui il personaggio – ormai invecchiato – muore, il coronamento di un'impresa la cui fruizione comincia adesso a essere possibile anche per i lettori di lingua italiana.

"Alta società", a dire il vero, cronologicamente non è il primo ma il secondo dei volumi che raccolgono tutte le storie dell'oritteropo: ristampa infatti gli albi dal 26 al 50. Anche negli Stati Uniti, comunque, questo è stato il primo arco di storie a essere pubblicato in un volume unico, in quanto si tratta di un'unica vicenda e – secondo Sim – presenta per la prima volta le caratteristiche del Cerebus "maturo". Personalmente non sono d'accordo con questa scelta: se è vero che i toni e soprattutto i disegni delle prime storie sono ancora leggerini e acerbi, è anche vero che la qualità cresce rapidamente nel giro di poche pagine e, soprattutto, che le prime avventure sono fondamentali per comprendere l'evoluzione del personaggio e per introdurre numerosi elementi – compresi alcuni comprimari fondamentali – che verranno successivamente recuperati in maniera sistematica. "Altà società" è perfettamente godibile anche a sé stante, ma leggerlo dopo il primo volume, "Cerebus", sarebbe stato senz'altro meglio.

L'intera serie di 300 albi, per un totale di 6000 pagine, è stata raccolta in inglese in 16 volumi. Speriamo che l'edizione italiana (edita da Black Velvet in un volume cartonato di oltre 500 pagine: traduzione e adattamento mi sembrano buoni, anche se per ora mi sono limitato a sfogliarlo) possa proseguire con il recupero del tomo precedente e la pubblicazione di quelli successivi.

mercoledì 8 dicembre 2010

Die Walküre (La Scala 2010)

Era da una "Aida" di venticinque anni fa, se non ricordo male, che non assistevo a una prima della Scala in televisione. Dopo di allora, gli ascolti (relativamente) bassi di uno spettacolo del genere avevano dissuaso i dirigenti del "servizio pubblico" dal trasmettere ancora in diretta uno degli eventi culturali di maggior interesse e spessore del nostro paese (mentre per Miss Italia e il Festival di Sanremo c'è sempre spazio). E dire che una volta l'opera lirica era il genere "popolare" per eccellenza, e forse lo sarebbe ancora, almeno in parte, se il pubblico non fosse stato "disabituato" a fruirne proprio dalle sciagurate programmazioni televisive degli ultimi decenni. Per fortuna, con l'avvento della tv digitale terrestre e il proliferare di canali tematici, ora c'è spazio per tutti. E così Rai 5, la nuova rete dedicata alla cultura, ha presentato – nel corso di una diretta durata quasi sette ore! – l'attesa inaugurazione della stagione operistica milanese.

Conoscevo poco Wagner, e de "La Valchiria" giusto la trama (e naturalmente il tema musicale, così cinematografico, della Cavalcata!). Devo dire che è stata una sorpresa davvero positiva. A parte un impatto iniziale un po' difficoltoso, le cinque ore dell'opera (con tre lunghi intervalli) sono davvero volate! La carne al fuoco era tanta, e di qualità: antiche saghe mitologiche, personaggi archetipici, riferimenti classici (quanto hanno in comune i miti germanici con quelli greci: Jung aveva ragione!), faide famigliari, dilemmi divini, incesti, sangue, battaglie, amore e magia. E tanta musica, persino esaltante, mai interrotta da un recitativo!

Musicalmente, infatti, l'opera di Wagner è assai diversa da quelle "italiane" cui sono più abituato: non ci sono (quasi) arie o brani singoli, ma un continuo "flusso musicale" che si sviluppa dall'inizio alla fine, coinvolgendo l'ascoltatore a 360 gradi. Ottimi i cantanti, che hanno saputo reggere fino in fondo parti difficili e ad alto dispendio di energie (con nota di merito per la protagonista Nina Stemme). Buona la direzione di Daniel Barenboim (che prima di iniziare ha letto un estratto dalla Costituzione italiana in difesa della cultura, alla presenza del Presidente della Repubblica), tutto sommato suggestive le scenografie (a parte le videoproiezioni di lettere e numeri con effetti digitali alla "Matrix"), non eccellenti invece i costumi (soprattutto quelli delle Valchirie).

Fra due anni, nel 2012, a Sant'Ambrogio sarà di scena il "Sigfrido", ossia il seguito de "La Valchiria" (rispettivamente terza e seconda parte della quadrilogia "L'anello dei Nibelunghi", dopo "L'oro del reno" e prima de "Il crepuscolo degli dei"), e per allora spero di essermi fatto una maggior cultura su Wagner. Magari ne avrò anche parlato sul mio blog dedicato all'argomento, Opera Omnia.