lunedì 28 ottobre 2019

Anche Tolkien ha il suo Cannarsi?

Ho appena scoperto che sta per uscire una nuova traduzione italiana del mio romanzo preferito, “Il Signore degli Anelli” di J.R.R. Tolkien. E promette di essere tremenda. Firmata da Ottavio Fatica, si proporrebbe di essere più fedele allo stile originale dell'autore: ma proprio per questo rischia di andare contro alle intenzioni dello stesso Tolkien, oltre che alle regole dell'adattamento e del buon senso.



Ma andiamo per ordine. La traduzione “storica” del libro di Tolkien in italiano fu realizzata nel 1967 da Vicky Alliata di Villafranca, all'epoca appena diciassettenne, per la casa editrice Astrolabio, che però pubblicò soltanto il primo (“La compagnia dell'anello”) dei tre volumi che compongono la trilogia. Quando nel 1970 Rusconi editò il romanzo in forma integrale, la traduzione di Alliata – che in ogni caso era stata approvata da Tolkien stesso – venne mantenuta, anche se leggermente rimaneggiata dal curatore Quirino Principe. È su questa versione che sono stati modellati anche i dialoghi italiani dei fortunati film di Peter Jackson, sull'onda del cui successo Bompiani pubblicò nel 2003 un'edizione ulteriormente rivista in alcuni dettagli, a cura della Società Tolkieniana Italiana.

La nuova traduzione che arriverà in libreria dal 30 ottobre, però, è tutt'altra cosa. Basta leggere alcuni esempi presi a caso dal primo capitolo (qui l'anteprima) per rendersi conto di quale bruttura si tratti.

VECCHIA TRADUZIONE

NUOVA TRADUZIONE

UNA FESTA A LUNGO ATTESA
Quando il signor Bilbo Baggins di Casa Baggins annunziò che avrebbe presto festeggiato il suo centoundicesimo compleanno con una festa sontuosissima, tutta Hobbiville si mise in agitazione.

UNA FESTA ATTESA A LUNGO
Quando il signor Bilbo Baggins di Casa Baggins annunciò che presto avrebbe festeggiato il suo undicentesimo compleanno con una festa oltremodo fastosa, i commenti e i fermenti a Hobbiton si sprecarono.

«Hai ragione, Nonno!», disse il Gaffiere. «I Brandibuck non vivono nella Vecchia Foresta, tuttavia sono proprio una strana razza. Trafficano con barche su quel grande fiume, e non è una cosa normale. Non ci sarebbe da stupirsi se un giorno o l'altro capitasse loro qualche guaio. Comunque, di Hobbit gentili come il signor Frodo è difficile incontrarne.

“Hai ragione, Nonno!” disse il Veglio. “Non che i Brandaino di Landaino vivano dentro la Vecchia Foresta; però per essere una strana genìa lo sono. Si trastullano in barca su e giù per quel grande fiume – e questo non si fa. Per forza poi capitano i guai, dico io. Ma comunque sia, un giovane hobbit ammodo come il signor Frodo è raro incontrarlo.

«Conosco la metà di voi soltanto a metà; e nutro, per meno della metà di voi, metà dell'affetto che meritate». Era una frase inattesa e piuttosto intricata. Ci furono uno o due applausi qua e là, ma la maggior parte delle persone era troppo intensamente occupata a sbrogliarla per rendersi conto se era un complimento.

Metà di voi non la conosco neanche per metà come mi piacerebbe: e meno della metà di voi mi piace la metà di quanto merita. Questo giunse inaspettato e risultò alquanto ostico. Non mancò qualche applauso sporadico, ma i più cercavano di capire se andava preso come un complimento.

La Via prosegue senza fine
Lungi dall'uscio dal quale parte.
Ora la Via è fuggita avanti,
Devo inseguirla ad ogni costo
Rincorrendola con piedi alati
Sin all'incrocio con una più larga
Dove si uniscono piste e sentieri.
E poi dove andrò? Nessuno lo sa.

La Strada se n'va ininterrotta
A partire dall'uscio onde mosse.
Or la Strada ha preso una rotta,
Che io devo seguir, come posso,
Perseguirla con passo solerte,
Fino a che perverrà a un gran snodo
Ove affluiscono piste e trasferte.
E di poi? Io non so a quale approdo.


Non metto a confronto anche la versione originale, perché qui non si tratta di determinare quale traduzione sia la più fedele. Per essere fedeli basta anche Google Translate (con qualche controllo e revisione umana, ovviamente). Ma il risultato deve anche tenere conto della lingua d'arrivo, del registro e del lettore cui si rivolge. I “tradimenti” sono più che benvenuti, se lo spirito (non la lettera) dell'originale è mantenuto.

Qui invece, come si vede dagli esempi sopra riportati, esattamente come nel caso di Gualtiero Cannarsi e dei suoi ottusi adattamenti dei film d'animazione dello Studio Ghibli, siamo di fronte a una versione italiana che in nome di un'estrema (e ideale) fedeltà all'originale smarrisce ogni senso estetico o poetico, ogni suggestione (che sia di registro mitico o quotidiano), ogni scorrevolezza del linguaggio ("però per essere una strana genìa lo sono" sembra proprio una frase in Cannarsese), ogni riferimento all'immaginario condiviso fra scrittore e lettore, e ovviamente ogni aggancio agli elementi con cui Tolkien e il suo mondo sono ormai entrati nella memoria collettiva (anche attraverso i film, certo).

Al di là della farraginosità e della cacofonia ("undicentesimo"??? "una festa oltremodo fastosa"??? "si trastullano"???), è anche poco coerente. Il cognome Tuc torna alla grafia Took, ma Brandybuck diventa Brandaino. Hobbiville ridiventa Hobbiton (e pazienza se il lettore italiano non capirà più di primo acchito che si tratta di un toponimo, come invece il suffisso "-ton" comunicava subito al suo omologo britannico), ma Samwise si trasforma in Samplicio (!?!). L'intenzione di lasciare nomi e termini in inglese in nome della fedeltà all'originale, evidentemente, si attua a corrente alternata. Sembra quasi che Fatica abbia voluto fare un oltraggio alla bella e suggestiva (quella sì) traduzione di Alliata, compiendo tutte scelte opposte alle sue, a prescindere (a cominciare da "Una festa a lungo attesa" che diventa "Una festa attesa a lungo", senza motivo). E fregandosene (alla Cannarsi) del pubblico di destinazione. Se "Steward", per esempio, evoca un'immagine precisa nella mente del lettore inglese, così come più o meno lo faceva "Sovrintendente" (perfettamente comprensibile nel suo contesto), cosa mai può comunicare "Castaldo" a un normale lettore italiano?

Non ci resta che sperare che questa brutta traduzione, figlia com'è di un momento storico dominato dalla sciatteria e dalla mania della fedeltà a tutti i costi (vedi anche il caso "Star Wars"), faccia la fine che meriti e finisca nel dimenticatoio, rapidamente com'è arrivata. Allora i fan patologici del "fedele" potranno fare la cosa più giusta: leggersi il libro direttamente in inglese.

7 commenti:

Lock ha detto...

Comprendo il tuo punto di vista, ma non lo condivido a fondo.
Come te anch'io amo Tolkien, ma accoglierò volentieri questa nuova traduzione, per almeno un paio di buoni motivi.
Il primo perché Ottavio Fatica è un traduttore capace, la sua localizzazione di Moby Dick è molto evocativa, e non così complessa come si dice in giro. Secondo perché è una nuova versione, e io adoro tutto ciò che di nuovo orbita intorno a Tolkien.
Capisco il sentirsi spiazzati da tutti questi nomi cambiati gratuitamente (qualcuno lo condivido, qualcun altro proprio no), ma ci stiamo fermando al dito senza vedere la Luna: un'opera va letta interamente per capire se sia valida o meno, altrimenti ci fermiamo di fronte a nostri pregiudizi (o chiamiamoli, se vuoi, affetti) e giudichiamo il libro proprio dalla sua copertina.
Voglio dire, se poi sarà una porcheria amen. La buttiamo nel dimenticatoio e amici come prima. Potrebbe però essere una gran bella traduzione però.
Il dubbio che mi è venuto, se devo proprio esprimere un mio parere sincero, è che Fatica in alcuni tratti abbia peccato di superbia e, abbia forzato frasi che sarebbe stato giusto non toccare: la poesia dell'Anello per esempio o, come dici tu, il titolo del primo capitolo. Insomma, vorrei capire se l'abbia fatto "a tutti i costi" oppure se abbia seguito una linea logica (vedi la fedeltà al romanzo originale).
Se ti interessa ho scritto un articolo con le mie considerazioni a riguardo, confrontando le varie versioni, anche con la lingua originale:

http://www.lemonskin.net/io/18908

Perché alla fine stiamo parlando di una traduzione, e quindi dobbiamo per un attimo mettere da parte la bellissima versione di Villafranca e dare una possibilità a Ottavio Fatica.
E solo dopo giudicarlo. :)

Christian ha detto...

Ciao e grazie del commento.

In realtà la traduzione dei nomi e dei termini non è nemmeno la questione principale (anche se indubbiamente una di quelle che si notano di più e che possono dare più fastidio a chi, come me, è abituato alla vecchia traduzione, magari per averla letta così tante volte da conoscerla ormai quasi a memoria).

Concordo che per giudicare appieno il lavoro bisognerebbe leggerlo per intero. Ma anche già dal primo capitolo (più il prologo) emerge secondo me un approccio che non mi piace (o una linea, come dici tu), e che me lo fa imparentare appunto a Cannarsi o alle nuove tendenze degli adattamenti italiani delle opere cinematografiche (rispetto a quelli più "liberi" ma memorabili degli anni 70): dare infinitamente più importanza alla fedeltà al testo originale anziché al rispetto delle intenzioni dell'autore. Io preferisco una traduzione magari infedele, ma dove il traduttore si è chiesto qual era l'effetto che una particolare parola, frase o formula voleva provocare nel lettore originale, in modo da riprodurla adeguatamente. Un lettore inglese capisce benissimo che "eleventy-first" significa centoundicesimo, anche se non è scritto "One hundred eleventh" come sarebbe più corretto. "Undicentesimo", invece, suscita solo confusione e non comunica immediatamente alcun significato.

Pensa a Kubrick, che in "Shining" ha voluto che il proverbio scritto a macchina da Jack Nicholson fosse diverso in ogni lingua: "Il mattino ha l'oro in bocca" non è una traduzione di "All work and no play makes Jack a dull boy", ma in quella scena trasmette la stessa inquietudine dell'originale, cosa che non avrebbe fatto se fosse stato tradotto alla lettera (gli spettatori si sarebbero distratti, di fronte a un proverbio non usato in italiano e mai sentito prima).

Da un lato c'è dunque la sensazione di trovarsi di fronte a una traduzione ottusamente letterale (vedi certe frasi che in italiano suonano proprio brutte, o con ripetizioni o assonanze sgradevoli come "una festa oltremodo fastosa"), e che difficilmente può colpire il lettore o farsi ricordare; dall'altra, come già detto, l'impressione di aver voluto cambiare tutto, rispetto alla vecchia traduzione, a prescindere. Perché "Cavallino inalberato", per esempio? Non andava bene "Puledro impennato"? E a quel punto, perché non lasciare Pony, allora?

Tutto questo senza nemmeno chiedersi se, in fondo, ci fosse davvero bisogno di una nuova traduzione di un libro che, nella vecchia versione (peraltro già riveduta e corretta più volte, anche recentemente), è entrata ormai nell'immaginario e nella cultura collettiva.
Non conosco Fatica, ma scoprire che ha ritradotto anche Moby Dick (che io ho letto solo nella versione di Pavese) mi lascia qualche perplessità. Immagino sia soprattutto una questione commerciale (rivendere lo stesso libro a chi lo ha già) o di diritti (magari all'editore costa meno commissionare una nuova traduzione che continuare a pagare quella vecchia).

Come sempre, in questi casi, rimane valido il consiglio di leggersi i libri in inglese se davvero si ricerca la fedeltà assoluta all'originale! :)

Lock ha detto...

Tutto quello che dici è giustissimo, e non ho ragioni per controbattere.
Non conosco neppure Cannarsi, quindi mi astengo dal commentarlo.
Fatica è così: traduce un romanzo, generalmente antico, utilizzando un italiano arcaico, o perlomeno che suoni come arcaico. Come se fosse stato tradotto all'epoca in modo molto fedele all'originale. Leggere i suoi testi al giorno d'oggi non è semplicissimo, occorre tenere un dizionario sempre a portata di mano, ma su Moby Dick funziona molto bene (anch'io ho letto la versione di Pavese e di un altro che non ricordo, mentre quella di Ceni — considerata da molti la migliore — mi ha lasciato piuttosto indifferente). Ripeto, la mia sensazione è che a volte si ostini per complicare le frasi più di quanto necessario (benché a me "undicentesimo" non dispiace affatto, quella era l'intenzione di Tolkien e mi sta bene). Sul Pony niente da dire, per me operazione inutile.
Quindi non ho idea se sul SdA sia altrettanto efficace, le mie sono considerazioni e non difese. Di sicuro, testi alla mano, per il momento mi sembra un'operazione meno felice di quanto mi aspettassi, ma preferisco attendere l'uscita dell'intero libro per giudicare. :)

D'accordissimo su Kubrik, anche se lì è credo che chiunque avrebbe scelto qualcosa di nostrano (tradurre alla lettera "all work..." sarebbe stato proprio da cretini. :)

Chris ha detto...

Già... peccato che undicentesimo, tratto a viva forza da undecentesimus al solo scopo di pettinare l'ego ipertrofico "del Fatica dallo sghembo sguardo" (romanzando...)abbia per significato novantanove e non centoundici. E anche se al sig. Bilbo Baggins il vedersi togliere dodici anni dal computo fiscale potrebbe far piacere, direi che addirittura mutare il significato di un testo originale per puro vezzo è inammissibile. A comprova del fatto sarà poi eventualmente possibile rivolgersi ai "forestali" siciliani che avranno da dire la loro, dopotutto siamo in democrazia (scherzo, non è vero, non esiste più alcuna democrazia)... ah, in ultimo, a delineare meglio la mancanza di professionalità del sig. Fatica emerito, quando intervistato sulla traduzione del Moby Dick, ha criticato Cesare Pavese adducendo frasi inconsulte riguardo l'età e simili idiozie, onde magnificare il suo lavoro a discapito di quello altrui (come i vili fanno...) esattamente come ha fatto con la Alliata (fa rima con adorata...), sarà che i politicizzati esponenti del sistema imperante e della sottocultura neoliberista abbiano una sola agenda con cui raffrontarsi?

Christian ha detto...

Lock: Alla fine siamo d'accordo su molte cose. Però, come ho detto, non conosco Fatica ma questa sua impostazione mi piace davvero poco. Il senso di fare una nuova traduzione è proprio quello di renderla più attuale e moderna, rimediando agli errori delle precedenti (che possono esserci sempre) o a certe forme e consuetudini del passato che sono diventate ormai desuete. Tradurre apposta in modo “arcaico” o astruso, solo per il gusto di farlo, mi pare davvero una scelta bizzarra e direi anche egocentrica (rivela molto dell'autore della traduzione). Fosse almeno “bella”, in parte lo capirei!

Chris: Ciao, ho controllato e hai ragione, in latino “undecentesimus” significa novantanovesimo!
Ma anche ignorando questo significato, a me “undicentesimo” spiattellato così, nelle prime righe di un romanzo, non fa comunque pensare a 111: per prima cosa viene spontaneamente da credere che si tratti di “undicesimo” scritto male, poi vengono in mente numeri assurdi come 1100... In ogni caso, ci si “ferma” su quella parola per qualche secondo, prima di continuare la lettura, ed è una sensazione fastidiosa. La questione politica mi sembra invece (almeno spero) poco pertinente, anche se purtroppo nel nostro paese, dove si tende a politicizzare proprio tutto, Tolkien è sempre stato tirato di qua o di là da questo punto di vista.

Ernesto ha detto...

Premetto che sono d'accordo con tutto quanto scritto da Christian, sia nel suo post che qui nei commenti, e mi permetto di dire solo una cosa, riguardo a quanto scritto da Lock: "[Fatica] traduce un romanzo, generalmente antico, utilizzando un italiano arcaico, o perlomeno che suoni come arcaico. Come se fosse stato tradotto all'epoca in modo molto fedele all'originale." Tradurre con un'impostazione del genere è semplicemente sbagliato. Normalmente un autore scrive per i suoi contemporanei, che in linea di massima capiscono le parole che usa e colgono i riferimenti che fa, perché condividono conoscenze comuni che, col passare degli anni, generalmente si perdono. Una traduzione nuova dovrebbe perciò "correggere" questa situazione andando a riavvicinare il libro antico al lettore contemporaneo aggiornandone il linguaggio. Come diceva Christian, la cosa principale a cui bisogna restare fedeli sono le intenzioni dell'autore: se il suo scopo era quello di farsi capire dai suoi contemporanei, e non quello di risultare ostico ai posteri, alla stessa cosa dovrebbe mirare una traduzione. In più, il fatto di cercare di usare un linguaggio antico in una traduzione moderna aggiunge un livello di artificiosità (il traduttore scrive in una lingua che non padroneggia, perché non appartiene al suo tempo) che allontana ancora di più dalle intenzioni dell'autore.
Infine, lascio la parola allo stesso Tolkien, che nell'Appendice F al Signore degli Anelli, presenta il libro come una sua traduzione e nel paragrafo 2 ("A proposito della traduzione") scrive:
"Nel presentare l'argomento del Libro Rosso come una storia che va letta dalla gente di oggi, l'intero quadro linguistico è stato tradotto per quanto possibile in termini attuali."
Non per niente, ai suoi tempi, Tolkien era stato accusato di scrivere in una prosa troppo semplice, poco "letteraria" e… per bambini.

Christian ha detto...

Ciao Ernesto, mi accorgo solo adesso, con qualche giorno di ritardo, di questo tuo commento. Grazie per la citazione di Tolkien, che chiarisce al meglio il suo punto di vista! :)