sabato 8 dicembre 2018

Attila (La Scala 2018)



La stagione della Scala si è aperta con "Attila", opera giovanile di Giuseppe Verdi (realizzata in quelli che lui stesso chiamava "gli anni di galera"), come la "Giovanna d'Arco" che era stata presentata a Sant'Ambrogio tre anni fa. Si tratta di un dramma "politico", immerso negli ideali risorgimentali quando fu composto (1846) e riletto in chiave contemporanea oggi: non solo per le scene e i costumi (che ricordavano le grandi guerre del Novecento, in particolare i due conflitti mondiali), ma anche per molti versi del libretto di Temistocle Solera e Francesco Maria Piave, del tutto "adattabili" alla situazione attuale dell'Italia (penso alle parole sprezzanti del protagonista, che potrebbero essere rivolte ai politici di oggi: "Vanitosi! Che abbietti e dormenti / pur del mondo tenete la possa...").

Non avevo mai visto o sentito quest'opera, e devo dire che non mi ha fatto una grande impressione. Piuttosto fracassona e gridata, senza brani particolarmente memorabili né sfumature nella caratterizzazione dei personaggi, è volata via gradevole ma anche monocorde. Il più variegato e interessante dei personaggi è proprio il "cattivo", ossia il protagonista Attila, l'unico che esce dagli schemi e dagli stereotipi (mostrando anche tratti nobili ed eroici). Ezio, il comandante romano, fa la figura del traditore, mentre i due amanti di Aquileia, i vendicativi Odabella e Foresto (in teoria i "buoni"), sono lì soltanto per veicolare i soliti sentimenti d'amore (per sé stessi e per la patria). Bella, come detto, la messinscena (con la regia di Davide Livermore), che pur cambiando il contesto storico della vicenda è risultata coerente e di ottimo livello qualitativo: scenografie e costumi erano molto cinematografici, sul palcoscenico sono apparsi anche cavalli, mentre il fondale era uno schermo digitale sul quale venivano proiettati all'occasione – e senza esagerare, per fortuna – fondali animati (le rovine di Aquileia), filmati vari (come il "flashback" dell'uccisione del padre di Odabella da parte di Attila) o semplicemente il cielo in tempesta. Bene il quartetto di protagonisti: Ildar Abdrazakov è stato un Attila vigoroso e fragile (nella scena del sogno), Saioa Hernández un'Odabella risoluta, George Petean un Ezio ambiguo, Fabio Sartori un Foresto cui purtroppo mancava il physique du rôle. La direzione di Riccardo Chailly mi è parsa energica e vibrante, come richiesto da un'opera di questo genere.


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