giovedì 8 dicembre 2022

Boris Godunov (La Scala 2022)



Non conoscevo bene questa celebre opera di Musorgskij, scelta (non senza qualche polemica, visto il periodo) per inaugurare la nuova stagione del Teatro alla Scala. L'avevo ascoltata distrattamente un paio di volte, anni fa, rimanendo colpito dalla sua cupezza, dall'ampio uso di registri bassi (il protagonista stesso è un basso), dalla scarsità di melodie e tonalità. Guardarla in tv, con l'ausilio dei sottotitoli per seguire la vicenda, è decisamente tutt'altra cosa, e me l'ha fatta apprezzare parecchio. Mi è parsa molto moderna, tanto nel soggetto (peraltro quasi shakesperiano: i paragoni con l'Amleto e il Macbeth si sono sprecati), che affronta il tema sempre attuale del potere e della corruzione, quanto nello stile, decisamente all'avanguardia per un'opera realizzata nel 1869 (si trattava infatti della prima versione in sette quadri, risalente a quell'anno, prima che l'autore la rimaneggiasse due anni dopo in seguito alle richieste della censura). Ambientata fra il 1598 e il 1605, racconta la storia di Boris, diventato zar di Russia dopo l'assassinio (attribuito a lui stesso) del piccolo Dmitrij, legittimo erede al trono. La morte del bambino (che, nella regia di Kasper Holten, è continuamente presente sul palco come fantasma insanguinato) tormenta il nuovo zar, che deve anche vedersela con un pretendente, il cosiddetto "Falso Dmitrij", un giovane monaco che afferma di essere lo zarevic sopravvissuto. Nonostante gli sforzi di Boris di mantenere il paese in pace e di liberare il popolo dalla povertà, i suoi sensi di colpa, le allucinazioni e la rivolta dell'usurpatore lo porteranno alla morte.



Dell'allestimento scaligero ho apprezzato molto gli interpreti (straordinario il protagonista Ildar Abdrazakov, ma ottimi anche Ain Anger, il vecchio monaco Pimen; Stanislav Trofimov, il buffo mendicante Varlaam; Norbert Ernst, l'ambiguo consigliere Šujskij) e l'orchestra (diretta, ancora una volta con grande competenza, da Riccardo Chailly): mi aspettavo una certa difficoltà nel dover seguire un'opera così impegnativa, tenebrosa, complessa e musicalmente diversa da quelle "italiane" cui siamo abituati, invece il tempo è quasi volato. Meno brillante forse la regia, che univa aspetti "realistici" ad altri "metaforici" (d'altronde si deve parlare di complesse emozioni umane e, insieme, di risveglio delle coscienze: vedi i numerosi interventi del coro, che dà voce al popolo) senza particolari idee, sicuramente non originali (i fantasmi insanguinati, appunto: quante volte li abbiamo già visti? per di più spostano i tormenti di Boris dal lato psicologico a quello esteriore e grand-guignolesco). Al di là dei riferimenti iconografici (come quelli al mondo ortodosso), risulta anche un po' troppo statica, ma nel complesso c'è poco di cui lamentarsi, vista la potenza dell'insieme. Belli anche i costumi. Tornando alle polemiche di cui sopra: riguardavano la scelta di un'opera russa, sulla storia russa, in russo, con interpreti russi, proprio mentre Putin sta invadendo l'Ucraina. Ma le sanzioni e il boicottaggio contro il regime attuale non dovrebbero riguardare la cultura passata di un paese, soprattutto un'opera risalente a due secoli fa, che s'ispira a Puškin e che è tutt'altro che un'agiografia dell'autoritarismo e del potere politico, di cui invece mette in luce le contraddizioni, la follia e la distorsione. Seguendo una certa continuità, l'anno prossimo la Scala dovrebbe aprire con il "Don Carlo" di Verdi, altra opera che tratta degli stessi temi.


1 commento:

Marisa ha detto...

Bisogna sempre tener presente la differenza tra la visione asettica e puramente legata ai fatti degli storici e la rappresentazione arricchita di sentimenti e pathos di un grande artista, in questo caso Puskin e la successiva riproposizione musicale dopo circa 50 anni di Musorgskij, in un clima culturale lontano dai tempi del poeta. Sicuramente l'ambientazione scaligera del dramma che si srotola come su una grande pergamena allude all'opera letteraria e al lavoro del monaco-cronista Pimen e si deve alla sensibilità di Puskin l'intenso senso di colpa dello zar usurpatore ed anche la tenerezza dei sentimenti paterni, mentre l'importanza del popolo continuamente manovrato e a sua volta determinante nel promuovere l'ascesa o la caduta dei potenti, è maggiormente legata allo spirito del tempo del musicista. La risonanza che un'opera russa del genere può avere ancora oggi è particolarmente evidente nella dinamica della manipolazione della narrativa che ogni potere esercita sul popolo.
Unico elemento che nella rappresentazione scaligera non mi è piaciuto è l'eccessiva presenza del bambino insanguinato, che doveva rimanere una presenza mentale relegata solo nella coscienza di Boris e non essere così ostentatamente esteriorizzata. Ma questo appartiene alla mia sensibilità che predilige l'introspezione...