Ogni forma d'arte (e, al suo interno, ogni corrente) ha un arco di vita ben preciso. Nasce grazie a pochi sperimentatori, con passi incerti, magari appoggiandosi ad altre forme da cui prende spunto e ispirazione; cresce, quando riesce a fare "breccia" (non tutte ci riescono) più o meno rapidamente, acquisendo nuovi seguaci e sfondando presso il pubblico; raggiunge la maturità, evolvendo il proprio linguaggio che diventa così sempre più poliedrico, versatile, sofisticato, adulto; segue una fase (più o meno lunga) di staticità, in cui si continuano a fare (bene) le cose che funzionano, con poche innovazioni se non in sottocorrenti di "rottura" o all'avanguardia; infine c'è il lento declino, caratterizzato da una parte dallo sguardo rivolto all'indietro, col ripiegamento nostalgico verso il passato e la ripetizione di ciò che ne aveva fatto la fortuna iniziale, e dall'altra da una cristallizzazione nei suoi elementi basici, accentuando ingenuità e infantilizzazione, lasciando cioè da parte i filoni più sofisticati e adulti. Ne segue inevitabilmente l'estinzione, favorita dal contemporaneo emergere di nuove forme artistiche che, in parte, ne cannibalizzano (rivoluzionandoli) alcuni degli aspetti linguistici.
Questo è avvenuto più volte in passato (un esempio su tutti: l'opera lirica), e sta avvenendo ora per il cinema. L'opera è stata la forma d'arte "popolare" per eccellenza nell'Ottocento, del tutto equivalente a ciò che era il cinema nel Novecento. I grandi cantanti erano i divi di cui tutti parlavano e sognavano, gli impresari commissionavano nuovi melodrammi a getto continuo, l'attenzione della stampa e del pubblico per le novità, per le vite pubbliche di cantanti e compositori, era altissima, e l'evoluzione del linguaggio e della tecnica progrediva senza sosta e senza mai guardare indietro (al punto che, pur di fare posto ai nuovi titoli e ai nuovi autori, i teatri dimenticavano a stretto giro di posta quelli vecchi). Poi, a un certo punto, non è stato più così. Certo, pure oggi vengono scritte nuove opere, ma di fatto il repertorio che viene rappresentato nei teatri è costituito solo da titoli "vecchi". La "Turandot" del 1927 (due anni dopo la morte di Puccini!) è rimasta l'ultima grande opera popolare mai composta. È come se al cinema venissero proiettati solo i grandi film del passato, magari in bianco e nero, o quelli di pochi registi. E secondo me, stiamo andando proprio in quella direzione.
Il cinema è stata l'arte popolare del Novecento, come l'opera quella dell'Ottocento. Non è ancora morto, ma quasi. I sintomi ci sono tutti: un'esasperata nostalgia, con lo sguardo rivolto al passato (e questo già da alcuni decenni, almeno da Quentin Tarantino), i produttori solo a caccia di remake e reboot, titoli ispirati a personaggi che hanno fatto già parte dell'immaginario popolare (i supereroi della Marvel entrano perfettamente in questo discorso: risalgono quasi tutti agli anni Sessanta!), ripetizioni all'infinito di schemi e prodotti che hanno già funzionato in precedenza. Non c'è spazio per l'innovazione. La pandemia di Covid, poi, ha dato la spallata finale alle sale cinematografiche, completando una tendenza (quella della loro sparizione, o comunque ridimensionamento) che era già in atto. Il cinema senza le sale, senza il "rito" della visione collettiva sul grande schermo, non è cinema. I servizi di streaming on demand, come Netflix, Prime Video o Disney+, sono l'evoluzione non del cinema ma della televisione. E infatti, al fianco dei film, presentano soprattutto serie tv. Certo, alcune sale rimangono e alcuni spettatori fedeli continueranno ad andarci, proprio come i teatri dell'opera esistono ancora e hanno un loro pubblico fedele. Ma ci prendiamo in giro se pensiamo che saranno ancora il canale "popolare" per eccellenza per guardarsi una pellicola: tempo qualche decennio e si trasformeranno in sale per cineclub o rassegne di festival (dedicati in particolare al recupero dei classici, appunto: i film del passato).
Questo discorso può sembrare pessimistico, o addirittura apocalittico. Non lo è, è solo realistico. Quello che sta accadendo è nell'ordine delle cose. Il cinema come "linguaggio" continuerà a esistere, ma sarà al servizio di nuove forme d'arte, che da esso traggono origine, magari contaminandolo con qualcos'altro, proprio come il cinema stesso era nato dall'unione di forme d'arte precedenti (il teatro, la fotografia...). Le serie tv, i videogiochi, l'interattività, i social media online, i video su TikTok... tutto questo, fondendosi insieme, darà vita alla nuova forma d'arte "popolare" del ventunesimo secolo, quella che ancora non ha un nome e che sta muovendo i suoi primi incerti passi, e che diventerà ciò che l'opera lirica è stata nell'Ottocento e il cinema nel Novecento (in attesa che la settima arte trovi la sua "Turandot", il suo canto del cigno: se il parallelo regge, ragionando per secoli, abbiamo ancora cinque anni di tempo!). Un discorso simile si potrebbe fare per molte altre forme d'arte ormai in declino: il romanzo (che ha avuto i suoi massimi fasti nell'Ottocento e nella prima metà del Novecento, prima di regredire a sua volta) e il fumetto (che, con la sparizione delle edicole, vedrà svanire la sua forma "popolare", almeno in Italia: il "linguaggio", certo, rimarrà, magari traslato sul web). Altre ne nasceranno, favorite dalle nuove tecnologie. Quale sarà la decima arte?
domenica 24 luglio 2022
Il cinema è morto?
Scritto da Christian alle 09:30
Etichette: Cinema, Riflessioni
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