In attesa di andare a vederlo dal vivo a gennaio (ebbene sì, in qualche modo sono riuscito a trovare due biglietti!), spendo due parole sulla "prima" del Don Giovanni di ieri sera alla Scala, seguita attraverso la benemerita diretta di Rai 5 (se c'è una cosa buona del proliferare di canali televisivi dovuto all'avvento del digitale terrestre, è l'aver reso di nuovo possibile la trasmissione di programmi culturali che – in nome dei dati Auditel – non trovano più spazio sulle reti generaliste, anche quando si tratta di eventi importanti come questo).
Sulla musica di Mozart c'è poco da aggiungere a quanto già detto negli ultimi duecento anni (e poi, sull'argomento intendo scrivere prima o poi una serie di post sul mio blog Opera Omnia), e i cantanti complessivamente mi sono piaciuti (le maggiori ovazioni le ha ricevute l'ambigua Donna Anna interpretata da Anna Netrebko – nomen omen: sempre bella, ma l'ho trovata decisamente ingrassata – ma i migliori mi sono parsi l'indomita Donna Elvira di Barbara Frittoli e lo strafottente Don Giovanni di Peter Mattei, il quale oltre ad amare, a mangiare e a bere, in scena fuma anche). La direzione di Daniel Barenboim non è stata eccezionale, e a dire il vero non mi ha emozionato più di tanto. La grande novità era l'allestimento, visto che si trattava di una nuova produzione, con la regia di Robert Carsen che ha posto l'accento sulla "complicità" delle donne che vengono sedotte dal libertino (e se quella di Zerlina e di Donna Elvira era già suggerita dal libretto di Lorenzo Da Ponte, anche Donna Anna – nell'incipit – viene mostrata come assolutamente partecipe e niente affatto vittima di violenza da parte dell'ignoto corteggiatore: al punto che è evidente come menta quando, più tardi, racconta a Don Ottavio come si sono svolti i fatti). Ha fatto parlare parecchio anche la scelta, nel finale, di mostrare Don Giovanni – o meglio il suo mito, il suo archetipo – sopravvivere anche dopo la discesa all'inferno per farsi beffe del resto del mondo, dei "benpensanti" che gli hanno appena cantato la morale ("Questo è il fin di chi fa mal", il famoso finale eliminato da Mozart quando l'opera venne eseguita a Vienna), come se il "dissoluto punito" non fosse lui ma tutti noi.
Tornando alla regia, sono molte le trovate proposte: lo specchio sul palco che riflette l'intero teatro (Carsen ha dichiarato di aver voluto rendere "omaggio alla Scala": si spiegano così i colori delle scenografie, che richiamano quelli degli arredi della sala, e la presenza, in mano a Donna Anna nel secondo atto, del programma di scena); i personaggi che si muovono anche fuori dal palcoscenico, fra i corridoi, i palchi e i posti a sedere; la scelta di far cantare il Commendatore, cioè il "convitato di pietra" – nella scena del cimitero – direttamente dal palco reale, fra il Presidente Napolitano e il Premier Monti; i continui cambi di abiti dei personaggi davanti al pubblico – e se lo scambio di vestiti fra Don Giovanni e Leporello all'inizio del secondo atto è previsto dal libretto, più volte vediamo i personaggi spogliarsi e rivestirsi mentre cantano, con lo stesso Don Giovanni perennemente seguito da un attaccapanni su rotelle con tutto il suo guardaroba; la cameriera di Donna Elvira – personaggio che viene citato nel testo ma che di solito non appare in scena – a un certo punto rimane addirittura nuda (insomma: è evidente che a questo Don Giovanni i "piacevoli progressi" non "vanno mal tutti quanti"). I costumi erano moderni, a eccezione degli abiti di velluto rosso nella scena del ballo in maschera, e le scenografie asciutte ed essenziali. Nel complesso mi è piaciuto, anche se speravo in qualcosa di meglio soprattutto dal punto di vista musicale (su regia e allestimento sono piuttosto "neutro", visto che mi piacciono le contaminazioni e mi rendo conto che con opere come queste è impensabile rifare sempre le stesse cose): rimando il giudizio definitivo a quando lo vedrò in teatro.
2 commenti:
In effetti ne viene fuori un Don Giovanni più interessato ai suoi abiti (un damerino, insomma) che non all'opera di seduzione.
Il mostrare esplicitamente la complicità di Donna Anna è da una parte meritoria, ma rischia di togliere il mistero e il conflitto più profondo appiattendo il tutto a livello di una tresca. Da notare che, pur nell'ampio uso di maschere, proprio nella scena iniziale con Donna Anna non ci sono maschere e quindi lei lo vede in faccia e sa benissimo chi è, pur nell'affermazione "chi son io mai non saprai"
Mi sembra insomma che quest'allestimento abbia fatto leva più sull'esplicitazione che sul mistero e su una seduzione più sottile. Ma forse lo spirito del tempo non apprezza tanto il sottinteso e il mistero ed è abituato alla nuda semplificazione.
Il capovolgimento finale, come hai ben notato, si colloca nella linea di ristabilire, oltre la cattiva coscienza di tutti, l'atemporalità del mito Don Giovanni che, per quanto punito e mandato all'inferno, continuamente riappare e domina la fantasia di tutti.
Sì, penso anch'io che questa regia non abbia fatto altro che rendere esplicite cose che, bene o male, già sospettavamo (per esempio che anche Donna Anna, come Elvira e Zerlina, abbia ceduto alla seduzione di Don Giovanni). Il gioco dell'omaggio al teatro, poi, lascia un po' il tempo che trova (anche se vedere il commendatore nel palco reale è stato divertente!). A me la scena finale è piaciuta, e tutto sommato anche scenografie e costumi. Se ho un po' di delusione, è più per la direzione musicale che per l'allestimento.
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