domenica 8 dicembre 2019

Tosca (La Scala 2019)



È stata una "Tosca" monumentale e cinematografica quella che ha aperto la stagione 2019/20 della Scala. Il regista Davide Livermore ha realizzato un allestimento che, pur restando fedele all'ambientazione originale (non siamo di fronte a una rilettura moderna: la vicenda è rappresentata come se avvenisse effettivamente nella Roma del 14 giugno 1800, il giorno della battaglia di Marengo, citata nei dialoghi), la spettacolarizza con scenografie mobili (la chiesa che si innalza nel primo atto, lasciando Scarpia su un livello "infernale" più basso), effetti speciali (i quadri semoventi, muti testimoni del delitto del secondo atto) e la presenza di molte comparse in vere e proprie scene di massa. D'altronde Livermore stesso ha commentato come Tosca abbia "una delle partiture più perfette [di Puccini], ai limiti dello storyboard cinematografico". Il risultato è stato davvero degno di una prima visione in tv o della trasmissione in diretta nelle sale cinematografiche di tutto il mondo, e devo dire (pur non essendo un amante particolare di quest'opera, che chissà perché non mi ha mai conquistato come invece hanno fatto altri lavori di Puccini) che mi è piaciuto molto, perché non ha sacrificato i cantanti, né li ha costretti ad esibirsi mentre interagivano in modo contorto con la coreografia. Cantanti che peraltro sono sembrati decisamente all'altezza, sia dal punto di vista vocale che da quello delle interpretazioni (le espressioni dei volti ne veicolavano le passioni come attori consumati, calandoli magistralmente nei loro personaggi). Meritate le ovazioni per Anna Netrebko (ormai la prima donna ufficiale del teatro milanese), per il tenore Francesco Meli (un Cavaradossi eroico e stoico) e il baritono Luca Salsi (uno Scarpia perfido e di grande personalità). Ottimi pure i comprimari, su tutti un grande Alfonso Antoniozzi (il sacrestano). La direzione di Chailly, che ha scelto di rifarsi alla stesura originale dell'opera, prima dei successivi rimaneggiamenti del compositore (ma non ci sono poi enormi differenze) è stata efficace ed enfatica. Da brividi, in particolare, l'esecuzione del pezzo forte dell'opera, "E lucevan le stelle" nel terzo atto. Terzo atto che ha forse le uniche due cose non brutte, ma da elaborare: un Castel Sant'Angelo che ricorda la Torre di Cirith Ungol, e una Tosca che nel finale, invece di gettarsi giù, viene "assunta in cielo". Qualche dubbio anche sui costumi di Tosca, un po' kitsch (niente da dire su quelli degli altri). Molti gli applausi finali.


lunedì 28 ottobre 2019

Anche Tolkien ha il suo Cannarsi?

Ho appena scoperto che sta per uscire una nuova traduzione italiana del mio romanzo preferito, “Il Signore degli Anelli” di J.R.R. Tolkien. E promette di essere tremenda. Firmata da Ottavio Fatica, si proporrebbe di essere più fedele allo stile originale dell'autore: ma proprio per questo rischia di andare contro alle intenzioni dello stesso Tolkien, oltre che alle regole dell'adattamento e del buon senso.



Ma andiamo per ordine. La traduzione “storica” del libro di Tolkien in italiano fu realizzata nel 1967 da Vicky Alliata di Villafranca, all'epoca appena diciassettenne, per la casa editrice Astrolabio, che però pubblicò soltanto il primo (“La compagnia dell'anello”) dei tre volumi che compongono la trilogia. Quando nel 1970 Rusconi editò il romanzo in forma integrale, la traduzione di Alliata – che in ogni caso era stata approvata da Tolkien stesso – venne mantenuta, anche se leggermente rimaneggiata dal curatore Quirino Principe. È su questa versione che sono stati modellati anche i dialoghi italiani dei fortunati film di Peter Jackson, sull'onda del cui successo Bompiani pubblicò nel 2003 un'edizione ulteriormente rivista in alcuni dettagli, a cura della Società Tolkieniana Italiana.

La nuova traduzione che arriverà in libreria dal 30 ottobre, però, è tutt'altra cosa. Basta leggere alcuni esempi presi a caso dal primo capitolo (qui l'anteprima) per rendersi conto di quale bruttura si tratti.

VECCHIA TRADUZIONE

NUOVA TRADUZIONE

UNA FESTA A LUNGO ATTESA
Quando il signor Bilbo Baggins di Casa Baggins annunziò che avrebbe presto festeggiato il suo centoundicesimo compleanno con una festa sontuosissima, tutta Hobbiville si mise in agitazione.

UNA FESTA ATTESA A LUNGO
Quando il signor Bilbo Baggins di Casa Baggins annunciò che presto avrebbe festeggiato il suo undicentesimo compleanno con una festa oltremodo fastosa, i commenti e i fermenti a Hobbiton si sprecarono.

«Hai ragione, Nonno!», disse il Gaffiere. «I Brandibuck non vivono nella Vecchia Foresta, tuttavia sono proprio una strana razza. Trafficano con barche su quel grande fiume, e non è una cosa normale. Non ci sarebbe da stupirsi se un giorno o l'altro capitasse loro qualche guaio. Comunque, di Hobbit gentili come il signor Frodo è difficile incontrarne.

“Hai ragione, Nonno!” disse il Veglio. “Non che i Brandaino di Landaino vivano dentro la Vecchia Foresta; però per essere una strana genìa lo sono. Si trastullano in barca su e giù per quel grande fiume – e questo non si fa. Per forza poi capitano i guai, dico io. Ma comunque sia, un giovane hobbit ammodo come il signor Frodo è raro incontrarlo.

«Conosco la metà di voi soltanto a metà; e nutro, per meno della metà di voi, metà dell'affetto che meritate». Era una frase inattesa e piuttosto intricata. Ci furono uno o due applausi qua e là, ma la maggior parte delle persone era troppo intensamente occupata a sbrogliarla per rendersi conto se era un complimento.

Metà di voi non la conosco neanche per metà come mi piacerebbe: e meno della metà di voi mi piace la metà di quanto merita. Questo giunse inaspettato e risultò alquanto ostico. Non mancò qualche applauso sporadico, ma i più cercavano di capire se andava preso come un complimento.

La Via prosegue senza fine
Lungi dall'uscio dal quale parte.
Ora la Via è fuggita avanti,
Devo inseguirla ad ogni costo
Rincorrendola con piedi alati
Sin all'incrocio con una più larga
Dove si uniscono piste e sentieri.
E poi dove andrò? Nessuno lo sa.

La Strada se n'va ininterrotta
A partire dall'uscio onde mosse.
Or la Strada ha preso una rotta,
Che io devo seguir, come posso,
Perseguirla con passo solerte,
Fino a che perverrà a un gran snodo
Ove affluiscono piste e trasferte.
E di poi? Io non so a quale approdo.


Non metto a confronto anche la versione originale, perché qui non si tratta di determinare quale traduzione sia la più fedele. Per essere fedeli basta anche Google Translate (con qualche controllo e revisione umana, ovviamente). Ma il risultato deve anche tenere conto della lingua d'arrivo, del registro e del lettore cui si rivolge. I “tradimenti” sono più che benvenuti, se lo spirito (non la lettera) dell'originale è mantenuto.

Qui invece, come si vede dagli esempi sopra riportati, esattamente come nel caso di Gualtiero Cannarsi e dei suoi ottusi adattamenti dei film d'animazione dello Studio Ghibli, siamo di fronte a una versione italiana che in nome di un'estrema (e ideale) fedeltà all'originale smarrisce ogni senso estetico o poetico, ogni suggestione (che sia di registro mitico o quotidiano), ogni scorrevolezza del linguaggio ("però per essere una strana genìa lo sono" sembra proprio una frase in Cannarsese), ogni riferimento all'immaginario condiviso fra scrittore e lettore, e ovviamente ogni aggancio agli elementi con cui Tolkien e il suo mondo sono ormai entrati nella memoria collettiva (anche attraverso i film, certo).

Al di là della farraginosità e della cacofonia ("undicentesimo"??? "una festa oltremodo fastosa"??? "si trastullano"???), è anche poco coerente. Il cognome Tuc torna alla grafia Took, ma Brandybuck diventa Brandaino. Hobbiville ridiventa Hobbiton (e pazienza se il lettore italiano non capirà più di primo acchito che si tratta di un toponimo, come invece il suffisso "-ton" comunicava subito al suo omologo britannico), ma Samwise si trasforma in Samplicio (!?!). L'intenzione di lasciare nomi e termini in inglese in nome della fedeltà all'originale, evidentemente, si attua a corrente alternata. Sembra quasi che Fatica abbia voluto fare un oltraggio alla bella e suggestiva (quella sì) traduzione di Alliata, compiendo tutte scelte opposte alle sue, a prescindere (a cominciare da "Una festa a lungo attesa" che diventa "Una festa attesa a lungo", senza motivo). E fregandosene (alla Cannarsi) del pubblico di destinazione. Se "Steward", per esempio, evoca un'immagine precisa nella mente del lettore inglese, così come più o meno lo faceva "Sovrintendente" (perfettamente comprensibile nel suo contesto), cosa mai può comunicare "Castaldo" a un normale lettore italiano?

Non ci resta che sperare che questa brutta traduzione, figlia com'è di un momento storico dominato dalla sciatteria e dalla mania della fedeltà a tutti i costi (vedi anche il caso "Star Wars"), faccia la fine che meriti e finisca nel dimenticatoio, rapidamente com'è arrivata. Allora i fan patologici del "fedele" potranno fare la cosa più giusta: leggersi il libro direttamente in inglese.

sabato 10 agosto 2019

Bonelli: il ritorno di vecchi eroi

In un periodo di crisi del fumetto (dovuto anche, in gran parte, alla crisi delle edicole, il luogo di distribuzione per eccellenza del fumetto popolare) e di fronte agli scarsi risultati di vendita ottenuti dalle nuove proposte (anche quando si tratta di serie di qualità, come il “Mercurio Loi” di Alessandro Billotta o i “Cani sciolti” di Gianfranco Manfredi), la Sergio Bonelli Editore sembra aver deciso di ricorrere al proprio glorioso passato. Si spiega così la decisione di riportare in edicola alcuni personaggi e testate che avevano già concluso da anni la propria vita editoriale. Nel corso dell'estate hanno dunque fatto il loro ritorno sugli scaffali, sotto forma di miniserie o di albi inseriti in collane antologiche, character come Mister No (che non si vedeva dal 2006), Napoleone (idem) e Magico Vento (assente dal 2010). E presto ne torneranno altri, come Nick Raider.

La cosa, sinceramente, mi fa piacere, e non solo perchè di molti di questi personaggi ero affezionato lettore. Che la casa editrice si renda conto di avere un patrimonio iconico e culturale sotto forma di “proprietà intellettuali” (si chiamano così, oggigiorno) e che sarebbe un peccato sprecarlo, non può che essere una buona notizia. Il mercato editoriale sta cambiando, le serie potenzialmente infinite non esistono più o comunque è difficile crearne di nuove. E allora che male c'è nel rivedere vecchi amici, ogni tanto, come protagonisti di miniserie di tre o quattro numeri? Speriamo solo che la qualità non lasci a desiderare. Per ora ho letto i primi numeri delle nuove avventure di Magico Vento e Napoleone, e per fortuna sembra quasi che il tempo non sia mai passato (aiuta certo il fatto che, a firmare le storie, sono gli stessi creatori di un tempo).

domenica 30 giugno 2019

Adiós Mordillo!



Ieri se n'è andato Guillermo Mordillo, vignettista e illustratore argentino, celebre per i suoi omini col nasone, le sue giraffe, ma soprattutto il suo umorismo semplice, geniale e dissacrante. Il suo linguaggio, che puntava sull'immagine e la caricatura ma non sulle parole, era universale: impossibile non averlo amato!

sabato 29 giugno 2019

Evangelion: Cannarsi ha cannato... ancora


In seguito alle numerose proteste da parte del pubblico sulla scarsa qualità dell'adattamento, Netflix ha annunciato di aver ritirato la nuova traduzione italiana della serie animata giapponese “Neon Genesis Evangelion”, che per ora resterà disponibile sulla piattaforma televisiva on demand soltanto nella versione originale con sottotitoli.



Per motivi di diritti, Netflix non aveva potuto usare il doppiaggio storico e ne aveva dunque commissionato uno nuovo di zecca: purtroppo, a occuparsi del nuovo adattamento è stato Gualtiero Cannarsi, già tristemente noto per l'inqualificabile lavoro effettuato sui film dello Studio Ghibli. Convinto che una traduzione debba essere il più letterale possibile (a costo di mantenere la struttura formale e la sintassi della lingua di partenza, inventandosi parole che in italiano non esistono o ripescandone di astruse e desuete), insomma proprio il contrario di quello che dovrebbe fare un buon adattatore (cioè risultare "invisibile" allo spettatore o al fruitore finale, che in teoria non dovrebbe nemmeno accorgersi di assistere a un adattamento), Cannarsi ha rovinato tanti ottimi film e serie animate.

Prima o poi doveva capitare. Fan di anime improvvisatosi traduttore e adattatore (fu “raccomandato” alla casa distributrice Lucky Red da una cinquantina di suoi amici e colleghi di forum, all'epoca dell'uscita del film di Hayao Miyazaki “Il castello errante di Howl"), Cannarsi ha giocato troppo con il fuoco e si è scottato. Finché si occupava soltanto dei film dello Studio Ghibli, capolavori assoluti del cinema di animazione ma in fondo pur sempre prodotti di nicchia, i risultati del suo “lavoro” erano rimasti confinati presso un'isola felice dove in pochi si rendevano conto che il linguaggio desueto e astruso dei lungometraggi da lui adattati era il frutto non delle intenzioni originali degli autori, ma di una scelta impazzita dell'adattatore. Che un padre, trovando la figlia in biblioteca, esclamasse “Quale rarità!” anziché un più naturale “Che strano!”, lasciava lo spettatore con l'impressione che il registro dei dialoghi non fosse proprio coerente, ma poi se ne dimenticava. Che al posto di “Grazie mille” tutti dicessero sempre “La ringrazio infinitamente” poteva sembrare persino una nota di colore. E pazienza anche se ogni tanto si udivano frasi come “Il predisporre l'invio dell'indomani si è protratto”, o “A stare a divertirvi da queste parti finirete per farvi rapire in compagnia”: magari i giapponesi, avrà pensato lo spettatore, parlano davvero così. A vedere questi film al cinema, o a comprarne i DVD, sono poche decine di migliaia di persone, quando va bene. (Per chi voglia approfondire, all'indecente operato del Cannarsi riguardo ai film Ghibli sono dedicate intere pagine Facebook, come questa e questa. Ogni protesta rivolta alla Lucky Red è sempre caduta nel vuoto).


Ma ora la musica è cambiata. Lavorare per Netflix significava rivolgersi a una platea, quella della tv on demand, molto più ampia rispetto a quella delle sale cinematografiche. E questi spettatori non hanno affatto gradito il linguaggio astruso, le convoluzioni, le ripetizioni o la fuga dai sinonimi che caratterizzano la nuova edizione di una serie di culto. Ecco alcuni esempi di frasi che Cannarsi fa pronunciare ai suoi personaggi (oltre a quella nel video in apertura di questo post): “Ci è giunto comunicato che hanno già completato di prendere rifugio”, “Nessuna recalcitranza!”, “S’è fatta guerra in modo talmente vistoso che era dentro la città”. L'ondata di protesta è stata tanto forte e ad ampio raggio da raggiungere prima i media generalisti (dove persino il direttore del doppiaggio, il veterano Fabrizio Mazzotta, ha preso le distanze dal suo "collega") e poi da costringere la piattaforma alla scelta radicale di ritirare il doppiaggio italiano, con la promessa prima o poi di rifarlo ex novo.


Uno smacco per Cannarsi, una disfatta per la sua scuola di pensiero e probabilmente un episodio che limiterà (per fortuna) la sua carriera futura. Certo, all'episodio avrà contribuito il fatto che molti spettatori ricordavano la vecchia traduzione italiana della serie (alla quale, per ironia della sorte, aveva collaborato lo stesso Cannarsi: che diciannove anni fa era forse troppo giovane e privo di “autorità” per imporre le proprie idiosincrasie al direttore del doppiaggio), e scoprire che un prodotto che avevano amato in passato è stato stravolto in questo modo indegno non ha fatto certo piacere.

Da dove nasce l'errore di Cannarsi? Dalla convinzione che un traduttore debba rispettare alla lettera (nei contenuti ma anche nella forma, appunto) il testo originale, quando invece quello che va mantenuto è il senso di ciò che si voleva comunicare, adattando tutto il resto secondo i contesti, i registri e le regole della lingua di arrivo, anche tenendo conto delle differenze culturali del pubblico di riferimento. Pubblico che invece il Cannarsi non sembra avere in grande considerazione, se è vero che ha affermato: “Il mio ideale referente è il testo originale, non il pubblico”. Una dichiarazione che sarebbe anche interessante, e potrebbe portare a riflessioni costruttive (la fruibilità di un'opera è più importante dell'opera stessa?) se non nascondesse in realtà un approccio sbagliato alla questione.


La forma mentis di Cannarsi è probabilmente il frutto delle frustrazioni che tutti gli appassionati di anime hanno dovuto subire negli anni ottanta e nei primi anni novanta, quando gli adattamenti delle serie giapponesi (soprattutto quelle trasmesse sui canali Mediaset) soffrivano del problema opposto: un'assoluta mancanza di fedeltà all'originale, al punto da eliminare persino ogni riferimento alla loro origine nipponica (i nomi dei personaggi diventavano Johnny, Sabrina e Tinetta, le scene più "adulte" o complesse venivano tagliate, e lo stesso capitava a quelle in cui – non sia mai! – comparivano sullo schermo degli ideogrammi o qualsivoglia elemento che indicasse che la storia si svolgesse in Giappone). Per questo, arrivato sul ponte di comando, Cannarsi ha deciso di passare all'altro estremo, traducendo alla lettera ogni termine, ogni forma colloquiale, ogni riferimento culturale, infischiandosene del risultato farraginoso che impedisce a uno spettatore di fruire dell'opera in maniera naturale, impegnato com'è a interrogarsi ogni secondo su che cosa abbiano detto i personaggi, di fatto "uscendo" continuamente dalla storia che sta guardando.

Insomma: Gualtiero Cannarsi rappresenta tutto ciò che un buon traduttore o adattatore non deve essere. E finalmente il suo lavoro ha ricevuto una ricusazione ufficiale. Certo, sarebbe bello se anche la Lucky Red ammettesse una buona volta il suo errore e cominciasse a pensare a una riedizione, con nuovo adattamento e doppiaggio, dei tanti bellissimi film di Miyazaki e compagni finora rovinati e resi ostici perché tradotti in una "neolingua" che non è italiano. Per ora non sembra avere l'intenzione di farlo, ma chissà che in futuro non veda la luce.

lunedì 8 aprile 2019

Film di supereroi... ante litteram

Cosa sarebbe successo se l'attuale "boom" dei film di supereroi fosse avvenuto un po' prima? Magari negli anni '70, quando il cinema italiano di genere spopolava? Forse avremmo avuto pellicole come queste (fonte):


E se invece fosse accaduto durante la Golden Era di Hollywood? Ecco come il disegnatore Joe Philips si è immaginato la cosa (fonte):

venerdì 5 aprile 2019

Topolino 3306

Come ho già scritto in passato, da tempo non leggo più regolarmente "Topolino". Ma mi capita ancora di acquistare ogni tanto qualche numero particolare, come quelli celebrativi: è accaduto con questo, che festeggia i 70 anni del settimanale in formato "libretto" (il cui primo numero uscì appunto nell'aprile 1949, sostituendo il precedente formato noto come "Topolino giornale"), anche perché vi era allegato un fascicolo speciale che ripercorre tutta la storia della rivista. Se ho apprezzato la copertina di Giorgio Cavazzano che fa il verso a quella dello storico numero 1, per quanto riguarda i contenuti sono rimasto però abbastanza deluso. E non solo per l'assenza di una storia, appunto, celebrativa, come mi sarei aspettato di trovare. Quelle presenti nel fascicolo mi sono parse tutte assai mediocri sia sul versante delle sceneggiature che su quello dei disegni: meccaniche le prime, che aspirano a essere sofisticate ma senza naturalezza e trasparenza (per non parlare dell'afflato avventuroso, del tutto assente), dal montaggio confuso (vedi gli occasionali scartamenti temporali da una vignetta all'altra) e talvolta pretenziose (con l'uso di parole inglesi come "orienteering", quando c'era a disposizione l'italiano "orientamento"); goffi e sgradevoli i secondi, con personaggi talvolta deformi e stilizzati, senza però la qualità artistica di un Celoni o un Cavazzano, appunto. Aggiungiamoci personaggi che ormai sono diventati macchiette di sé stessi, utilizzati non come "attori" delle storie ma soltanto in funzione delle loro caratteristiche distintive (esempi: Pico o Paperoga). Di tutte le storie contenute nel volumetto, salverei solo quella breve di Silvia Ziche, la più semplice e simpatica. Rispetto all'ultimo "Topolino" che avevo acquistato (circa un duecento numeri fa), ho trovato peggiorata anche la grafica del sommario e delle pagine interne, confusa e sovraccarica, e persino il lettering, che da sempre è stato uno dei punti di forza del settimanale. Insomma: un numero celebrativo così importante, oggetto anche di una campagna pubblicitaria in tv, che potrebbe finire nelle mani di un lettore occasionale, avrebbe sicuramente meritato di meglio, a partire da una storia firmata dagli autori di punta della rivista.

lunedì 18 marzo 2019

JoJo 5: Golden Wind - Nuove sigle

Superata la metà della quinta stagione (ambientata interamente in Italia), la serie animata de "Le bizzare avventure di JoJo" ha presentato delle nuove sigle di apertura e di chiusura, che probabilmente ci accompagneranno fino al gran finale (anche se non mi stupirei di vedere apportate delle modifiche, una volta che il volto del principale antagonista, Diavolo, sarà rivelato).

L'opening, intitolata "Uragirimono no requiem" ("Il requiem dei traditori") è interpretata da Daisuke Hasegawa, che già aveva cantato una delle sigle della quarta serie.


L'ending, invece, è "Modern crusaders" del gruppo Enigma (che comprende una campionatura di "O fortuna" dai "Carmina burana" di Carl Orff).

martedì 1 gennaio 2019

Il 2018 al cinema

Nel corso del 2018 ho visto 49 film in sala (questa rassegna annuale, infatti, prende in considerazione solo le pellicole che mi sono goduto al cinema, e non le tante viste a casa, come quelle sulle piattaforme on demand quale Netflix, per esempio il pluripremiato "Roma" di Alfonso Cuarón). Fra i titoli più meritevoli citerei "Dogman" di Matteo Garrone, "Tre manifesti a Ebbing, Missouri" di Martin McDonagh, "Chiamami col tuo nome" di Luca Guadagnino, "La forma dell'acqua" di Guillermo Del Toro, "Tre volti" di Jafar Panahi, "The seen and unseen" di Kamila Andini, "Tonya" di Craig Gillespie e "Cold war" di Pawel Pawlikowski. Molto belli anche "Il sacrificio del cervo sacro" di Yorgos Lanthimos, "A land imagined" di Yeo Siew Hua, "Killing Jesus" di Laura Mora Ortega, "Azougue Nazaré" di Tiago Melo, "I am not a witch" di Rungano Nyoni, "Tramonto" di Laszlo Nemes, "Il fiume" di Emir Baigazin e "L'albero dei frutti selvatici" di Nuri Bilge Ceylan.

A metà classifica vanno tanti film carini ma non trascendentali, oltre a quelli da cui forse mi aspettavo di più (o che nei loro limiti mi sono piaciuti senza entusiasmarmi). Ecco l'elenco: "Ready player one" di Steven Spielberg, "Doppio amore" di François Ozon, "Il filo nascosto" di Paul Thomas Anderson, "Quello che non so di lei" di Roman Polanski, "L'isola dei cani" di Wes Anderson, "Cafarnao" di Nadine Labaki, "Un affare di famiglia" di Hirokazu Koreeda, "Il gioco delle coppie" di Oliver Assayas, "Tutti lo sanno" di Asghar Farhadi, "Il ragazzo più felice del mondo" di Gipi, "First man – Il primo uomo" di Damien Chazelle, "Shadow" di Zhang Yimou, "Killing" di Shinya Tsukamoto, "The number" di Khalo Matabane, "On the beach at night alone" di Hong Sang-soo e "Sheikh Jackson" di Amr Salama. Metto in questa categoria anche la riedizione postuma dell'ultimo film di Orson Welles, "The other side of the wind".

Non erano certo brutti, ma non mi hanno entusiasmato più di tanto "Lady Bird" di Greta Gerwig, "Blackkklansman" di Spike Lee, "Avengers: Infinity War" di Anthony e Joe Russo, "Il mio capolavoro" di Gastón Duprat, "Une saison en France" di Mahamat-Saleh Haroun, "Fratelli nemici" di David Oelhoffen, "Quanto basta" di Francesco Falaschi e il tanto atteso "L'uomo che uccise Don Chisciotte" di Terry Gilliam. Delusioni nette invece per "Solo: A Star Wars story" di Ron Howard, "Il prigioniero coreano" di Kim Ki-duk, "Van Gogh - Sulla soglia dell'eternità" di Julian Schnabel, "Legend of the demon cat" di Chen Kaige e "Widows – Eredità criminale" di Steve McQueen. Infine, veniamo alle insufficienze piene: i peggiori film visti nel corso dell'anno passato sono stati "The nightingale" di Jennifer Kent, "No bed of roses" di Mostofa Sarwar Farooki e "Tutti i soldi del mondo" di Ridley Scott.