Ieri ho assistito al Piccolo di Milano (ma la produzione era del Teatro Stabile di Genova) a una rappresentazione di "Misura per misura". Considerata, insieme con "Tutto e bene quel che finisce bene" e "Troilo e Cressida", una delle tre ‘opere problematiche’ (problem plays) di William Shakespeare per la difficoltà nel caratterizzarne il genere (presenta infatti personaggi ed elementi tipici della commedia, ma anche temi e situazioni ben più complessi e tragici, al punto che basta davvero poco – nelle scelte di regia, di recitazione o di allestimento – per spostare gli equilibri e darne una connotazione oscura o inquietante), racconta una vicenda che, come capita spesso con il Grande Bardo, risulta ancora di incredibile attualità (gli argomenti sono quelli dell’abuso di potere e del rispetto della legge). Ogni volta che mi avvicino a un’opera di Shakespeare, infatti, mi stupisco della sua modernità: non a caso i suoi lavori vengono rappresentati con tanta frequenza e si prestano quasi naturalmente a essere ambientati in ogni epoca o in ogni parte del mondo (come hanno dimostrato le numerose trasposizioni cinematografiche da parte di grandi registi come Kurosawa, Welles, Polanski, Branagh, per citarne solo qualcuno, che ne hanno talvolta spostato il setting senza mai danneggiare la potenza dei contenuti). Dello spettacolo che ho visto ieri (la regia era di Marco Sciaccaluga, le scene di Jean-Marc Stehlé e Catherine Rankl, gli interpreti principali Eros Pagni, Alice Arcuri e Roberto Alinghieri) mi sono piaciute molte cose: le scenografie, che come nella tradizione del Piccolo erano semplici e minimaliste ma di grande efficacia (una struttura lignea, con scale e piattaforme, divisa in moduli che ruotavano e si ricombinavano a seconda delle esigenze per dare vita di volta in volta a conventi, bordelli, prigioni o palazzi ducali); i leggeri tocchi di modernità (negli abiti, negli oggetti), abbastanza limitati da non dare fastidio ma sufficenti a sottolineare come la vicenda potrebbe anche svolgersi al giorno d’oggi; gli inserti musicali e le luci; le interpretazioni disinvolte e naturali (non pochi sono i personaggi di contorno comici e sgrammaticati, tipicamente shakesperiani); e naturalmente la dinamicissima vicenda congegnata dall’autore, che non risparmia attacchi – diretti o indiretti, sarcastici o affettuosi – a tutte le parti in gioco: che si tratti di personaggi severi o clementi, giusti o ipocriti, puri o licenziosi, sinceri o menzogneri.
giovedì 27 ottobre 2011
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1 commento:
bene!
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