
Questo interessantissimo libro di Simon Singh, autore anche di un documentario della BBC sull'argomento, racconta la storia del teorema matematico più famoso di tutti i tempi, il primo la cui dimostrazione ha attirato l'attenzione dei media e riempito le prime pagine dei giornali di tutto il mondo. Il testo, avvincente come un romanzo, copre oltre due millenni di storia, visto che comincia da Pitagora e finisce con Andrew Wiles, l'uomo che finalmente, trecentocinquanta anni dopo Fermat, ha risolto l'enigma quando ormai molti cominciavano a dubitare che fosse possibile.
Nel 1637 l'avvocato e matematico francese Pierre de Fermat stava leggendo una copia dell'Arithmetica di Diofanto, uno dei più celebri testi greci sull'algebra e la teoria dei numeri. Sulla pagina che spiegava come esistessero infinite terne pitagoriche, ossia terne di numeri interi a, b e c (come 3, 4 e 5, oppure 5, 12 e 13) che soddisfano l'equazione di Pitagora
a2+b2 = c2,
Fermat scrisse di proprio pugno una nota a margine che diceva, più o meno, che non esiste invece nessuna soluzione se si sostituisce l'esponente con un qualsiasi altro numero maggiore di due. Vale a dire, che non esistono tre numeri interi a, b e c che soddisfano l'equazione
an+bn = cn con n>2.
Aggiunse poi una frase che avrebbe tormentato generazioni di matematici per gli anni a venire: "Dispongo di una meravigliosa dimostrazione di ciò, ma questo margine è troppo stretto per contenerla" (in latino: "Cuius rei demonstrationem mirabilem sane detexi. Hanc marginis exiguitas non caperet").
Fermat non aveva molti contatti con altri matematici suoi contemporanei, a parte qualche scambio di lettere con Mersenne e Pascal, e non pubblicava mai i suoi risultati. Spesso enunciava teoremi senza fornirne la dimostrazione, anche se in seguito quasi tutte le sue affermazioni si sono rivelate esatte. L'unica che dopo la sua morte rimaneva ancora da dimostrare era proprio quella che è passata alla storia con il nome di "Ultimo Teorema di Fermat" (anche se, a rigor di termini, non era un teorema ma una semplice congettura).
La sfida al teorema impegnò le menti dei più grandi matematici del settecento, dell'ottocento e del novecento. Dopo tutto, l'enunciato è così semplice da essere capito anche da un bambino, e non sembrava possibile che la dimostrazione fosse invece tanto complicata (soprattutto dopo che Fermat aveva affermato che era "meravigliosa"). Nel 1908 un ricco industriale tedesco offrì addirittura un premio di centomila marchi (che corrispondevano a oltre un milione di euro di oggi) a chi avrebbe trovato una dimostrazione oppure fornito un controesempio (provando cioè che Fermat si sbagliava, e che esistono tre numeri interi che soddisfano l'equazione). I tentativi di dimostrazione furono così numerosi (e naturalmente tutti errati) che il direttore del dipartimento di matematica dell'università di Gottinga, al quale spettava il loro controllo, aveva fatto prestampare dei biglietti che recitavano "Gentile signore, grazie per il suo manoscritto sulla dimostrazione dell'Ultimo Teorema di Fermat. Il primo errore si trova alla pagina ____, riga ____. Questo invalida la dimostrazione".
Il libro di Singh ripercorre i tre secoli di tentativi e in particolare racconta la vicenda di Andrew Wiles, il matematico americano che nel 1995 arrivò finalmente a dimostrare quello che è stato probabilmente il teorema più studiato nella storia della matematica. Anche la storia della dimostrazione di Wiles è interessante: una prima versione, annunciata nel 1993 fra l'entusiasmo della comunità scientifica, si dimostrò parzialmente errata, e Wiles dovette lavorare un altro anno per "tappare il buco". Naturalmente riscosse il famoso premio di Gottinga, che però nel frattempo si era svalutato a "soli" quarantamila euro.
La dimostrazione di Wiles (qui in PDF) è lunga oltre un centinaio di pagine e utilizza strumenti matematici complicatissimi che sono stati elaborati soltanto nel ventesimo secolo (come la congettura di Taniyama-Shimura sulle curve ellittiche). Sicuramente non si tratta, dunque, della dimostrazione "meravigliosa" che aveva in mente Fermat. Alcuni ritengono che il matematico francese, per una volta, si fosse sbagliato, e che anche la sua dimostrazione fosse difettosa. Non avendola annunciata in pubblico ma menzionata solo in un'annotazione privata, non sentì mai il bisogno di pubblicare una smentita.