sabato 14 novembre 2015

Wozzeck (La Scala 2015)



Ieri sera ho assistito alla Scala a una bella rappresentazione del "Wozzeck" di Alban Berg, capolavoro operistico della scuola dodecafonica e pietra miliare della musica del ventesimo secolo. Conoscevo l'opera solo di fama, e nonostante la complessità della partitura (non certo facile da apprezzare a un primo ascolto, colma com'è di temi, rivoli, dissonanze e sonorità particolari, servite da un'orchestra di ampie proporzioni che in alcuni punti si sdoppia e sale direttamente sul palco), mi è piaciuta davvero molto. Il libretto è tratto dal lavoro teatrale di Georg Büchner, "Woyzeck", rimasto incompiuto nel 1837 alla morte dell'autore (a soli 23 anni): stupisce davvero che un testo simile sia stato scritto da un ragazzo così giovane, e per di più a inizio ottocento, visto come si sposa bene con la sensibilità e i temi del primo novecento. L'opera di Berg (che iniziò a concepirla negli anni della prima guerra mondiale, quando era soldato) può infatti essere accomunata a quello che le altri arti stavano portando avanti, soprattutto in Germania, nel campo dell'espressionismo: i dipinti di Schiele, Munch o Kokoschka; i testi di Kafka o Döblin; il cinema di Wiene ("Il gabinetto del dottor Caligari"), Wegener e Lang. Gran parte di tutto questo, naturalmente, sarà etichettato come "arte degenerata" durante il regime nazista. E in effetti è difficile separare i contenuti e le forme di questi lavori dalle contraddizioni e dalle incertezze vissute dalla Germania nel periodo fra le due guerre.



La vicenda, ispirata da un reale fatto di cronaca avvenuto nel 1821 (l'uccisione della propria compagna da parte di un soldato), è un pretesto per parlare della psiche umana, della società e di come l'angoscia e gli abissi della follia possano inghiottire un'anima fragile e tormentata: il soldato Wozzeck ("per il quale persino l'uniforme di un normale fante sembra troppo imponente", scrisse Rilke), vittima di abusi da parte dei suoi superiori (il capitano della guarnigione, il medico che lo sottopone a strani esperimenti) e indifeso di fronte alle tragedie della vita (come il tradimento di Maria), è un tragico personaggio che simboleggia tutta l'umanità. Ottimi tutti gli interpreti, nessuno escluso, così come la direzione musicale chiara e pulita (nonostante la succitata complessità della partitura!) di Ingo Metzmacher, capace di rendere accessibile la bellezza della musica anche a chi, come me, l'ascoltava per la prima volta. Ne è passata di acqua sotto i ponti da quando i lavori di Berg (e di colleghi come Schönberg, suo maestro, e Webern) venivano fischiati: ormai fanno parte anche loro a pieno titolo del "repertorio classico"! L'allestimento del regista Jürgen Flimm, che aveva debuttato alla Scala nel 1997, è moderno, semplice ma efficace, con una scenografia che non cambia praticamente mai durante tutta la rappresentazione, un unico atto ininterrotto di circa 90 minuti: peccato solo che la decontestualizzazione degli elementi scenici porti a non rappresentare sul palco il lago in cui Wozzeck getta il coltello dopo aver ucciso Maria e, soprattutto, la luna rosso sangue che lo tormenta nelle ultime scene (sarebbe bastato un gioco di luci).



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