venerdì 28 giugno 2013

Dragonero (e "Le Storie")

Si è scritto da più parti che “Dragonero”, il cui primo numero è uscito questo mese, è la prima serie fantasy pubblicata dalla Bonelli. Non è vero: a parte il dettaglio che elementi fantasy hanno sempre fatto capolino nelle testate dell'editore milanese (da “Tex” a “Zagor”, da “Martin Mystère” a “Dylan Dog”), non si può negare che titoli come “Gea” e “Brendon” fossero già indiscutibilmente fantasy, e soprattutto che lo erano alcune miniserie presenti su testate antologiche come “Zona X” (su tutte, “La stirpe di Elän”). In realtà “Dragonero” (che prende avvio dall'omonimo “romanzo a fumetti” pubblicato nel 2007) è la prima testata regolare Bonelli di high fantasy alla Tolkien: e proprio in questa natura stanno tutti i suoi limiti. Ingessata negli stereotipi del mondo tolkieniano (basti pensare alle razze – orchi, elfi, ecc. – o alla mappa del territorio in terza di copertina) e di quello dei giochi di ruolo come Dungeons & Dragons (a loro volta nati come schematizzazione degli elementi tolkieniani), non soltanto offre ben poco di originale a un lettore appassionato di fantasy, ma ignora bellamente tutti gli sviluppi e le diramazioni che il genere ha offerto negli ultimi cinquant'anni. Soggetti e sceneggiature (di Luca Enoch e Stefano Vietti) sembrano dare per scontato che da questi elementi non si possa prescindere, e non si interrogano mai sulla loro ragion d'essere. Un esempio su tutti: per quale motivo i due compagni dell'eroe sono un orco e un'elfa, se poi parlano e si comportano come esseri umani? Sembrano quasi nascere da un obbligo di inserire un orco e un'elfa nella storia, perché nel fantasy devono esserci orchi ed elfi. Dettagli a parte, comunque, il primo numero racconta una vicenda (che continuerà per altri tre fascicoli) non troppo accattivante. Belli, invece, i disegni di Giuseppe Matteoni.


Tutt'altra qualità troviamo in un'altra collana bonelliana, in edicola ormai da nove mesi e di cui, colpevolmente, non avevo ancora parlato: “Le Storie”. Come suggerisce il titolo, si tratta di albi autoconclusivi, slegati l'uno dall'altro (e dunque senza un protagonista in comune), con vicende ambientate in epoche diverse e appartenenti a filoni e generi differenti, spesso opera dei migliori “autori” (nel vero senso della parola) della casa editrice. Si va da racconti di ambientazione storica (la Rivoluzione Francese, il Giappone dei samurai, l'India coloniale) ad altri che sono semmai ascrivibili a generi narrativi ben precisi (la fantascienza, la gangster story, il western, il bellico, lo spionaggio). Ma non mancano contaminazioni (il numero 9, “Mexican Standoff”, mescola per esempio alieni e malavitosi messicani e pare l'equivalente di un film di Tarantino o di Rodriguez), rivisitazioni spiazzanti e colpi di scena, che consentono alle vicende di travalicare i generi, di stupire il lettore e di mettere a dura prova le sue aspettative. Il bello di una collana così, a parte l'alta qualità di testi e disegni (abbiamo visto finora all'opera, fra gli altri, Paola Barbato, Roberto Recchioni, Alessandro Billotta e Diego Cajelli come scrittori; Giampiero Casertano, Bruno Brindisi, Carlo Ambrosini e Andrea Accardi come disegnatori; e Paolo Morales e Gigi Simeoni come autori completi), è proprio la varietà, che impedirà sia la sclerotizzazione su temi e personaggi sempre uguali (il peggior difetto di molte serie Bonelli, dove i personaggi tendono a diventare macchiette e le trame a ripetersi) sia il rifiuto del tentativo di sperimentare qualcosa di nuovo. “Le Storie” potranno diventare un laboratorio dove lanciare, provare, osare tutto quello che non può essere fatto sulle testate regolari. Un po' come in passato succedeva con altre collane antologiche, come la stessa “Zona X” o la leggendaria “Un uomo, un'avventura”.

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